Torna l'epico "Romulus". Tra azione e protolatino c'è pure il sesso fluido

Nella serie di Sky sulla fondazione di Roma debutta anche un "re" folle e spregiudicato

Torna l'epico "Romulus". Tra azione e protolatino c'è pure il sesso fluido

E ora si saprà chi diventerà il primo re di Roma: Yemos, il principe naturalmente destinato dalla nascita, o Wiros, l'ex schiavo assurto a leader grazie al coraggio. Insomma, nella seconda stagione di Romulus, che racconta la fondazione della civiltà romana, si arriverà alla risposta alla domanda che ha attraversato tutta la prima parte della serie che tanto ha intrigato gli spettatori. In partenza venerdì su Sky e in streaming su NOW - a giudicare dai primi episodi visti alla Festa del cinema di Roma -, è ancora più epica, piena di battaglie, scontri, duelli ma anche di approfondimento psicologico dei principali protagonisti. Con una totale libertà non solo rispetto alla storia, ma anche rispetto alle leggende e ai miti che narrano la creazione del grande impero romano, il regista Matteo Rovere insieme ai suoi sceneggiatori ha lavorato di grande fantasia per renderla appetibile al pubblico. Sangue, sesso, amore, amicizia, fede, potere, invidia, follia declinati in proto-latino. «Quando Matteo è venuto da me - racconta il produttore Riccardo Tozzi di Cattleya - e mi ha proposto una serie parlata in latino antico io non solo non mi sono spaventato, ma ne sono stato felice perché noi siamo abituati alle pazzie. Una scommessa vinta anche negli altri paesi in cui l'abbiamo esportata che dimostra come ormai il pubblico si sia abituato ai sottotitoli». «La lingua originale - aggiunge Rovere - porta lo spettatore in una dimensione unica e totalmente coinvolgente».

Di leggenda in leggenda, in Romulus non ci sono Romolo e Remo, o meglio non si chiamano così. Chi sopravviverà tra Yemos (Andrea Arcangeli) e Wiros (Francesco Di Napoli) - che non sono fratelli di sangue ma d'elezione e sono cresciuti nella foresta protetti da una lupa - diventerà appunto re di Roma. «Diversamente dal mito - spiega il regista - abbiamo voluto posticipare il momento in cui uno dei due fratelli uccide l'altro per raccontare una città in un primo momento inclusiva, dove venivano accolti anche ladri e sbandati e dove un sistema di governo malato veniva superato da tre giovani - oltre a Yemos e Wiros, Ylia (Marianna Fontana), ex sacerdotessa e guerriera - che fondano un nuovo ordine».

Il pericolo, il male, però arriva dall'esterno ed è rappresentato dal folle re dei Sabini, Tito Tazio, che si crede figlio di un Dio, ha gusti sessuali fluidi e non conosce limiti all'efferatezza.

Un altro mito totalmente riadattato è quello del Ratto delle Sabine, qui rappresentato dalle sacerdotesse sottratte al re dei Sabini per sfuggire a un'imboscata e non per prendersi delle mogli. «Il nostro - spiega ancora Rovere - è un viaggio nella mitologia, dove ci sono elementi ricorrenti, basta pensare a Caino e Abele, che abbiamo trasformato in un grande spettacolo ma che può essere interessante anche per gli appassionati di storia».

Oltre ai protagonisti della prima stagione, new entry sono Emanuele Maria Di Stefano che interpreta lo svalvolato re Tazio, Valentina Bellè nei panni di Ersilia, a capo delle sacerdotesse sabine e Ludovica Nasti che veste i panni di Vibia, la più giovane fra queste. Il personaggio che cambia più fisionomia è comunque Wiros, che da umile e umiliato «nulla» umano si trova condividere la guida del popolo latino: lui istintivo e verace si scontrerà con Yemos, che invece è guidato da un alto senso morale e spirituale che gli viene dall'educazione in una famiglia reale. Interpretato da un sorprendente Francesco Di Napoli, il giovane attore si riconosce un po' nel suo personaggio: «Anche io vengo da umili origini - racconta - sono cresciuto in un quartiere di Napoli molto difficile, ho dovuto lasciare la scuola a 14 anni per problemi economici e familiari». Per caso, come accade nelle favole, è stato scelto per la serie la Paranza dei bambini.

Da lì è partita la svolta della sua vita e di quella della sua famiglia. «Al casting - racconta - si era presentato mio cugino e nella foto che ha presentato c'ero anche io: hanno voluto me. I miei genitori sono contentissimi, ora li posso anche aiutare economicamente.

Non ho potuto fare studi di recitazione, non ne ho avuto il tempo, ma i registi mi dicono di usare il mio istinto, di non perdere la mia naturalezza». Chissà se sarà lui a diventare il re di Roma. Intanto ha vinto la sfida della vita.

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