Il tradimento degli storici e la truffa dell'antifascismo

Galli della Loggia mostra come l'ortodossia di sinistra abbia impedito all'Italia di comprendere il suo passato

Il tradimento degli storici e la truffa dell'antifascismo

Il nuovo libro di Ernesto Galli della Loggia Credere, tradire, vivere edito da il Mulino è un classico da conservare in biblioteca: lo è per il modo in cui è costruito, con l'enunciazione di una tesi originale e poi la sua dimostrazione, arricchite da un ricco corredo di citazioni, da ricordi personali che si intersecano col mestiere accademico di Galli. È un classico anche per l'importanza della intenzione storiografica che lo ispira e che vuole trasmettere, smontando la cosiddetta «narrativa» di sinistra. Essa, come Galli dimostra, domina la storiografia, affligge anche la maggioranza dei testi scolastici e ha enormi responsabilità sull'epos collettivo del popolo italiano: la storiografia traditrice è uno dei grandi responsabili dell'antifascismo obbligatorio sostitutivo di qualsiasi riflessione sincera su ciò che è accaduto all'Italia degli ultimi cento anni. Il testo dunque si sviluppa lungo un carattere basilare della identità politica italiana, quella riassunta dal secondo verbo nel titolo: «tradire», un'attitudine italiana spiegata da tutti gli angoli e con malcontenuta indignazione.

Da un'epoca all'altra della politica italiana, quella che porta dentro il fascismo, e poi fuori di esso costruendo la Repubblica, e via via nelle varie vicende di un'egemonia politica di sinistra che diventa «la nuova ortodossia», ogni passaggio è stato caratterizzato da migrazioni ideologiche di massa evidentissime, e tuttavia mai ammesse, mai elaborate, ci dice Galli, fino a una svolta definitiva, quella del «revisionismo» di cui Galli è stato uno degli storici protagonisti.

Tutte le rotture ideologiche, per altro evidentissime, sono invece state sempre affermate come buone ragioni per cui, anzi, si resta identici a quello che si era prima. Si trasmigra senza darne conto, a volte neppure a sé stessi, o si resta nello stesso ambito fingendo di trasmigrare, o ci si inventa formule apparentemente nuove (come il «centro sinistra») destinate invece alla conservazione dell'esistente dualismo post fascista fra comunisti e cattolici. Ambedue incapaci di guardare con sincerità al passato, ambedue decisi a incarnare la perfetta virtù antifascista.

Così il fascista di un tempo si ammanterà di valori resistenziali, e di fatto non sarà mai pronto a ammettere di aver intrapreso una nuova strada; l'Italia dell'arco costituzionale e dell'unità democratica è stata costruita su questo segreto. Di conseguenza il fascismo non sarà mai elaborato. Questa pessima abitudine si riflette sulla intangibilità del comunismo, monade a lungo quasi intonsa nonostante i suoi delitti e le sue pene; sulla incapacità socialista di sferrare un vero colpo definitivo al moralismo comunista, che invece scatenandosi ebbe la meglio su Craxi. I meandri della politica italiana, attraverso la crisi dei partiti e la «questione morale», con l'epoca di Berlusconi che Galli vede bene come sia stata criminalizzata e fantasticata come un'era di pericolo fascista, invece che esaminata obiettivamente, hanno fatto molta fatica a elaborare la crisi inevitabile che finalmente montava sull'onda lunga della crisi del comunismo.

Galli della Loggia ricorda con citazioni stupefacenti quanto odio abbia suscitato (si pensi al caso di Giorgio Bocca fra quelli che lo hanno accusato di essere addirittura uscito dall'ambito dell'antifascismo), solo per il suo lavoro di storico «revisionista». Un ruolo che egli racconta di aver condiviso con alcuni intellettuali, e nota il ruolo propulsivo del Corriere della Sera di Paolo Mieli nel rileggere finalmente la storia negata. Le note del libro sono una miniera di citazioni per capire come il voltagabbanismo possa essere indorato e nobilitato, da Croce, trattato con rispetto ma con sincerità, a Norberto Bobbio ai giornalisti comunisti e a mille altri intellettuali che sono le pietre di fondazione dei guai in cui tuttora versa l'Italia. È con autentico stupore e ironia che vengono elencate le bugie più evidenti. Un esempio su mille, le parole del manuale di Camera e Fabietti edito da Zanichelli L'età contemporanea. I due autori parlano del terrorismo delle Brigate rosse lavando via il «rosso» e trasformandolo in nero: «Al terrorismo nero si salda quello che si dichiara rosso e proletario ma che in realtà matura in ambienti universitari e piccolo borghesi e consegue oggettivamente gli stessi risultati del terrorismo nero, cioè... genera disordini... da cui può nascere solo un'involuzione reazionaria di origine fascistoide». È una delle tante interpretazioni umoristiche del passato che disegnano la indispensabile fede nella sinistra «antifascista» che è stata e resta la fede fondamentale su cui l'Italia del dopoguerra si disegna.

È sull'«ortodossia antifascista» che si disegna una dogmatica descrizione del fascismo come «strumento del capitale» che ha creato la patologica negazione della elementare realtà di un fascismo di massa causato da molteplici ragioni che invece storici come De Felice hanno esaminato gridando nel deserto. La menzogna ha alimentato la sinistra per tanti anni. Ogni legittimazione, a partire da quella del nuovo Stato italiano, ha avuto come marchio quello dell'antifascismo nella sua versione depurata da ogni falla, ogni frattura, ogni errore.

«Il trasformismo di massa» fu dell'intera classe dirigente, politici, burocrati, professori universitari, magistrati, militari, industriali, vissuti con pieno agio all'ombra del fascio, i quali si trasferirono senza colpo ferire nella «repubblica democratica nata dalla resistenza». Il riciclaggio silenzioso è stato in seguito, racconta Galli, il sistema prescelto da ogni gruppo sociale e politico in vena di cambiamento: zitti zitti piano piano, si cambia senza riconoscerlo, scivolando via. L'arco costituzionale, l'unità democratica, il centro sinistra... Tutte queste espressioni sono di fatto la casa dei buoni a fronte della quale perfidi nemici disonesti, vere carogne sempre di destra, tramano per un nuovo fascismo. «L'inautenticità si instaurò nel cuore della repubblica» per esaltare la collettiva «trasformazione democratica» dice Galli. Il finale cui si arriva, percorrendo molto bene tutta la storia recente, suggerisce che adesso è ora di restituire all'Italia «la dimensione stessa del proprio passato... perché possa esserci un futuro».

Ma resta sul lettore il peso schiacciante di ciò che è stato, e che si legge in ogni riga della maggioranza della stampa italiana, nell'atteggiamento di ancora troppi intellettuali, politici o, semplicemente, cittadini.

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