Occorrono elegante eclettismo e talento monumentale per potersi permettere di: imparare il Pater Noster in sloveno da una bàlia di Lubiana; pranzare da piccolo nella casa goriziana dei genitori di Carlo Michelstaedter, «che si uccise pochi mesi dopo la mia nascita», il 17 ottobre 1910; giocare a bocce con Italo Svevo; fare gite in barca nel laghetto di San Marco, a Milano, quando il naviglio attraversava via Senato; veder sorgere la stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, a Firenze, anno 1935 («un capolavoro d'avanguardia»); essere ospite di Toscanini, a Riverdale, New York («una villa che, se fosse stata in Italia, sarebbe apparsa di pessimo gusto, ma paragonata alla media delle case statunitensi appariva una reggia»); presenziare all'inaugurazione di Brasilia, la capitale del Brasile, il 21 aprile 1960 («la nuova città appariva come un magnificente sogno assurdo e inabitabile»); sentirsi chiedere un parere sulle sue prime tele astratte da Mark Rothko; indossare con raffinata indolenza delle All Star rosse, su pantaloni senape, sotto il sole di Paestum, alla reverenda più che veneranda età di 100 anni e rotti... Occorre esser Gillo Dorfles per avere 107 anni. Sta discretamente bene. Venerdì sera, alla Triennale di Milano, per presentare il suo nuovo libro ha anche accennato un pezzo al pianoforte, «come può farlo un dilettante, nulla più». Il nuovo libro s'intitola Paesaggi e personaggi (Bompiani) e raccoglie una selezione di articoli e saggi pubblicati nel corso della sua lunga carriera giornalistica e critica più alcuni testi inediti raccolti nei mesi scorsi dal curatore Enrico Rotelli nella casa milanese di Dorfles. Pagine nelle quali passano tutti i luoghi e gli incontri di una vita ben più lunga del secolo breve. Esempi? Eccoli.
COLORI «PRIMARI» Essendo nato, il 12 aprile 1910, a Trieste, allora porto dell'Impero austroungarico, Gillo (la cui italianità era d'accatto, «perché formalmente ero un suddito austriaco»), ha da sempre negli occhi il ricordo delle vie cittadine ammantate di bandiere gialle e grigie. Ecco perché questi due colori li troviamo spesso accostati nei suoi quadri. A riprova che l'arte non è mai caso, né improvvisazione.
STURM UND DRANG ORMONALI Al ginnasio, tornato a Trieste dopo un'infanzia a Genova, iniziò a bazzicare la piccola libreria antiquaria, in via san Nicolò, di Umberto Saba. «Un uomo che presto si rivelò presuntuoso, nevrotico e poco espansivo». Ma la cui frequentazione gli permise di incontrare la figlia Linuccia, «una delle amiche più fedeli della mia adolescenza». Nell'appartamento dei Saba, «cupo e disadorno», Gillo passava almeno un paio di pomeriggi a settimana.
UN'ARGENTINA TUTTA NUDA A Trieste, fra le due guerre, fu amico di Leonor Fini (1907-96), nata a Buenos Aires e poi arrivata in Italia con la madre. «Lolò», come tutti la chiamavano, era una ventenne entusiasta dell'arte contemporanea «e già pittrice di quadri un po' bizzarri». «Il famoso ritratto di Italo Svevo è un bel ritratto, ma rimane all'interno delle norme della tradizione», mentre nell'abbigliamento era vistosa e strampalata. Quando si trasferì a Parigi costruì la fama di femmina adescatrice, libera e sexy. «Poi nacque la leggenda di quella volta in cui ha ricevuto nuda non so quale figura importante... Posso solo dire che a me non è mai successo».
CHE CHOC! Critico d'arte, pittore, filosofo, studioso di estetica, «Living national treasure» come ha detto di lui l'architetto e designer Mario Bellini, Dorfles è laureato in Medicina, con specializzazione in psichiatria. Studiò con Ugo Cerletti, neurologo, ideatore dell'elettrochoc, terapia utilizzata per la cura di alcuni disturbi mentali. «Da lui imparai la tecnica: si mettono due elettrodi alle tempie del paziente, la scossa elettrica induce una reazione di tipo epilettico e l'uomo - o la donna - perde coscienza. Una pratica impressionante, ma allora era di gran moda e veniva utilizzata anche quando non ce n'era bisogno. Funzionava nei malati gravi: dopo la terapia ritrovavano un certo equilibrio logico». Presto Dorfles abbandonò tutto, e si diede all'arte.
IPSE DIXIT «Ho raggiunto la laurea, ma, per fortuna dei pazzi, non ho mai avuto il coraggio di professare».
CHE KITSCH! Dorfles per anni ha cercato di spiegarci cosa sia esattamente il Kitsch. Tecnicamente non è nient'altro che «l'opposto del buon gusto che domina in molte parti del mondo». Praticamente l'esempio migliore del concetto di Kitsch - il suo trionfo - Dorfles lo trovò negli anni Settanta in Italia, vicino a Pisa. La Minitalia. «Si tratta del più eloquente Regno del Kitsch che sia dato ammirare». Rozzi facsimili in carta pesta e formato ridottissimo dei monumenti più famosi d'Italia, senza alcun tentativo di ricostruire un minimo di ambiente, e quel che è peggio, «in una sorta di supermercato situato lì accanto: un'esibizione, per regioni, dei celebri prodotti del nostro artigianato. Dalla copia del bronzetto nuragico alla finta porcellana di Montelupo... un coacervo di bambole, ferri battuti ottocenteschi, chincaglierie lustre e patinate... brutte copie dei già orrendi prodotti, non del nostro autentico artigianato, ma di quello che viene esposto nei negozi frequentati dal peggior turismo di massa». Perfetto.
ODDIO, LE CASE DEGLI ARCHITETTI... Dorfles, negli anni '50, fece un lungo giro negli Stati Uniti. E incontrò più volte l'architetto Frank Lloyd Wright, giù un mito in quel momento, il quale nel 1937 aveva creato, fra le altre cose, la Scuola di Architettura di Taliesin West, a Scottsdale (Arizona). L'edificio comprende anche la casa dove Wright rimase fino alla morte, nel '59. Giudizio di Dorfles, che la visitò: «Le decorazioni della Library sono abominevoli: un pannello cinese moderno sul soffitto accresce l'impressione di chinoiserie del locale. I mobili, dai wrightiani angoli ottusi, sono del tutto datati e deprecabili. Per non parlare dei cuscini (probabilmente opera di sua moglie). Tutto in giro è duro e scomodo, la porta (coi chiodi a vista) non chiude, a ogni passo si rischia di sbattere la testa contro il soffitto».
SAPER STARE A TAVOLA A Washington, un giorno, Dorfles fu invitato a pranzo a casa di Duncan Phillips (1886-1966), fondatore del primo museo d'arte moderna degli Stati Uniti. Il padrone di casa gli chiese un parere su un dipinto appeso alla parete tra un Pissarro e un Monet. Gillo disse che non riusciva a riconoscere l'autore, ma che era all'altezza degli altri due. «Scoprii che si trattava di un dipinto di sua moglie».
BERSI LA VITA Il segreto della longevità? Per Gillo, un bicchiere al giorno di
Cannonau. Un giorno, in una trasmissione tv, citò il vino sardo come uno dei cinque prodotti più importanti d'Italia. La Pro loco gliene spedì 50 bottiglie come ringraziamento. Da allora, non ha mai smesso di berlo. Cin cin.
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