Tutti i frammenti colorati della vita di Paul Cézanne

Arriva in Italia il magistrale studio di John Rewald: ricostruisce nel dettaglio l'arte e la biografia del pittore

Tutti i frammenti colorati della vita di Paul Cézanne

Capitava che Paul Cézanne (1839-1906) raggiungesse al caffè alcuni amici, tra cui Zola, suo amico fin dall'infanzia e che sarà pure colui che lo stimolerà nella sua carriera di pittore anche contro il volere di suo padre, che lo voleva avvocato («una cosa o l'altra», lo esorterà lo scrittore «sii davvero un avvocato, o sii veramente un artista; ma non restare un essere senza nome, portante una toga sporca di pittura»). Anche se proprio con Zola, dopo la pubblicazione del romanzo L'opera, in cui era evidente la vicinanza del protagonista alla figura di Cézanne, a cui attribuiva la parte del pittore fallito, romperà dolorosamente i rapporti. Tra quegli amici che incontrava al caffè c'erano, tra gli altri, Monet, Pissarro, Degas, Renoir e Manet. Quest'ultimo era considerato il padre indiscusso di tutti loro e girava per Parigi vestito di tutto punto, portando, per vezzo, un bastone da passeggio. Monet racconta che quando arrivava Cézanne, con la sua barba da semidio, burbero e sciatto, tirasse sopra la vita i pantaloni calati e facesse il giro del tavolo stringendo la mano ai compagni. Arrivato davanti a Manet, si toglieva il cappello in forma di ironica reverenza e gli diceva: «Non mi permetto di stringerle la mano, signor Manet, perché non la lavo da una settimana».

È solo uno dei tanti episodi di vita che bene mettono in evidenza il carattere del più importante pittore francese a cavallo tra Ottocento e Novecento. Uno degli studiosi che meglio hanno raccontato la sua vicenda umana, oltre che artistica, è certamente John Rewald (1912-1994). Per la prima volta compare in Italia il suo Paul Cézanne. Una vita (traduzione di Nicoletta Poo, postfazione di Piergiorgio Dragone, Donzelli, pagg. 278, euro 30). È una pubblicazione importante, se si considera non soltanto che Rewald è stato uno dei maggiori storici dell'Impressionismo, ma che si deve a lui una riscoperta mondiale dell'arte di Cézanne, quando ancora larga parte della critica ne diffidava, e pure nel suo paese d'origine, Aix-en-Provence, lo consideravano appena un uomo stravagante. Solamente gli artisti a lui posteriori ne avevano compreso l'importanza e raccolto l'eredità; artisti che, attraverso i suoi studi sulla natura e la sua tecnica pittorica, arrivarono a pensare a forme d'arte come il Cubismo (non sarà un caso che Picasso lo considerasse un maestro indiscusso).

Lo studio decennale di Rewald sulle fonti, gli permette di entrare nel cuore di questa figura che se abbracciò la novità impressionista, immediatamente dopo comprese pure che occorreva superarla, perché, come scrive al più giovane Émile Bernard (1868-1941), che lo sollecitava a teorizzare il suo lavoro, «per noi uomini la natura è più in profondità che in superficie, di qui la necessità di introdurre nelle nostre vibrazioni di luce, rappresentate dai rossi e dai gialli, una quantità sufficiente di azzurri, per far sentire la presenza dell'aria».

Ma nonostante le teorizzazioni estorte da Bernard, Cézanne non sarà mai pienamente soddisfatto della sua arte. Sognava di giungere, con la pittura, a una Terra promessa; diceva di aver fallito, ma non come credeva Zola, che aveva una visione di realismo più documentaristica, ma perché niente in arte è finito. La Terra Promessa è una visione, una resurrezione nella mente. «Nel pittore esistono due cose» aveva scritto «l'occhio e il cervello, ambedue devono aiutarsi a vicenda; bisogna lavorare al loro mutuo sviluppo». Il cervello organizza ciò che l'occhio vede. Ma quello che si vede non è un dato oggettivo, pure se oggettuale, bensì già una sensazione, già, pure, un'interpretazione.

Ed è per questo motivo che Cézanne non amava vivere a Parigi, nonostante fosse ormai divenuto il più importante pittore sconosciuto mai la gioia di un successo pubblico (e Rewald racconta approfonditamente quanti rifiuti, derisioni e dinieghi fu costretto a subire). Dopo aver provato a risiedere in più occasioni nella capitale francese, dove passava il più del tempo a dipingere o a osservare i capolavori del Louvre (amava specialmente Courbet ed El Greco), capisce che Aix-en-Provence è la sua vera patria; quella patria che più tardi, proprio grazie all'impegno di Rewald, diventerà la città-museo di Cézanne (così spiega il suo desiderio di solitudine: «Il dubbio di apparire inferiore a quanto ci si attende da una persona che si presume all'altezza di ogni situazione è senza dubbio la scusa che mi fa vivere in disparte»). Da lì poteva farsi portare in carrozza sulla collina, e passare ore a osservare il paesaggio che gli si prospettava davanti. E chissà cosa aveva visto nel monte Sainte-Victoire per ritrarlo così tante volte, farlo divenire addirittura un'ossessione, o il suo paesaggio ideale. Attraversando con lo sguardo l'intera vallata, vedeva come la luce colorasse il volto della montagna, quel volto che non si confondeva al cielo, ma ne era il suo riflesso speculare, come dire ciò che del cielo resta solido allo sguardo, che acquista colore e forma. E il Sainte-Victoire non è ritratto più volte negli anni per vedere come sul suo costone cambi di volta in volta la luce del giorno, come aveva fatto Monet con la Cattedrale di Rouen. Per Cézanne quella montagna ha il volto azzurro di una visione perpetrata la visione di qualcosa che prendendo forma con gli anni addirittura si scompone senza mai sgretolarsi. È quella visione che dà forma allo sguardo, che ne sostanzia la sensazione che ne prova. La montagna è azzurra e le ombre causate dalla distanza tra l'occhio e l'oggetto osservato la sfumano di rosa e di bianco. La montagna è già dentro lo sguardo. Il Sainte-Victoire, negli occhi e nella testa di Cézanne, è quel Paradiso che la realtà ha perduto e che solo la pittura può farci definitivamente rivedere.

«Ho giurato a me stesso di morire dipingendo» scriverà ancora a Bernard «anziché sprofondare nell'avvilente rimbambimento che minaccia i vecchi che si lasciano dominare da passioni abbruttenti». Quella promessa Cézanne la manterrà. Dipingendo sotto una pioggia incessante, si ammalerà di una broncopolmonite che infine lo uccide il 22 ottobre del 1906.

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