Valerio Attanasio, già co-sceneggiatore di "Smetto quando voglio", debutta alla regia con "Il Tuttofare", commedia a sfondo parodistico, incentrata sulle difficoltà esistenziali d'un giovane alle prese con l'ingresso nel mondo del lavoro. Dotato di splendide premesse e di un grande Castellitto, il film regala svariati momenti divertenti, ma perde via via di efficacia, tracollando nella seconda parte.
Antonio Bonocore (Guglielmo Poggi), praticante in legge, lavora come assistente del professor Toti Bellastella (Sergio Castellitto), principe del foro e docente di Diritto penale. Il ragazzo è senza contratto e, per 300 euro al mese, fa di tutto per il suo mentore, dall'addetto alla spesa al portaborse, dall'autista al cuoco personale. Una volta superato brillantemente l’esame di stato, Antonio spera di diventare socio dello studio e, in effetti, ne ha la possibilità a patto di un "piccolo" sacrificio: sposare l'amante spagnola dell'avvocato per permetterle di acquisire la cittadinanza italiana. Non immagina che acconsentire alla richiesta segnerà l'inizio di un'ingarbugliata serie di guai.
Nei panni del cinico e suadente mascalzone, Sergio Castellitto giganteggia: è davvero spassoso e regala una performance che discende direttamente da quelle di grandi attori della nostra tradizione come Tognazzi, Gassman e Sordi. Egocentrico e abietto, tiranneggiato dalla ricca moglie (Elena Sofia Ricci), il suo Bellastella è una sorta di carismatico Azzeccagarbugli contemporaneo. Il problema è che quando, a un certo punto, una svolta narrativa lo fa sparire, il vuoto si sente. Guglielmo Poggi, da solo, per quanto bravo e convincente, non è in grado di reggere tutto il peso di un film che inizia a girare a vuoto, investendo nel ritmo frenetico e nell'accumulo di vicissitudini rocambolesche.
"Il Tuttofare" tocca questioni serie come il precariato e la corruzione, raccontando la lotta per la sopravvivenza in ambienti in cui i ricatti morali e il nepotismo sembrano la regola.
Sceglie, però, di mantenere una leggerezza volontaria e, pur incanalandosi nella scia di certe nostre commedie Anni 60, non ne prosegue l'amara riflessione sui vizi italici, limitandosi a preferire l'intrattenimento tout court.Attanasio si accontenta di regalare al pubblico un’opera gradevole che investe nella frenesia più che nell'originalità, dissipando il valore dell'interpretazione di un mattatore come Castellitto.
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