Favino e gli anni di piombo nel poco incisivo "Padrenostro"

L’Italia degli anni Settanta, un bambino, le famiglie spezzate e l'elaborazione del lutto. Ottimi ingredienti e buona ricostruzione d'epoca, eppure il film di Claudio Noce non graffia

Favino e gli anni di piombo nel poco incisivo "Padrenostro"

Alla Mostra del Cinema di Venezia arriva il primo dei quattro film italiani in gara, "Padrenostro" di Claudio Noce, la cui uscita nei cinema è prevista per il 24 Settembre.

Il regista si ispira alla vicenda autobiografica legata al padre, bersaglio di un attentato terroristico ad opera dei Nuclei Armati Proletari negli Anni 70.

Siamo a Roma, nel 1976. Valerio (Mattia Garaci) ha dieci anni e la sua vita viene sconvolta quando, dalla terrazza di casa, assiste al tentato omicidio di suo padre Alfonso (Pierfrancesco Favino, qui anche produttore) da parte di un commando di terroristi. Assieme alla madre (Barbara Ronchi), si precipita giù, in strada, e nel farlo sembra scendere un numero infinito di gradini. E' troppo piccolo per comprendere cosa sia successo, ma abbastanza grande da iniziare a sperimentare le conseguenze di quel trauma. Paura, vulnerabilità e senso di soffocamento irrompono nella sua infanzia ma, proprio in quei giorni difficili, il ragazzino conosce Christian (Francesco Gheghi), quattordicenne solitario ed enigmatico che sembra sbucato dal nulla. La complicità tra i due è crescente: assieme si macchiano di un piccolo furto, sfogliano giornaletti spinti, bevono, giocano a nascondino, urlano parolacce e, infine, si stringono la mano in corrispondenza di due tagli, così da stipulare un patto di sangue. A fine estate saranno entrambi due persone nuove.

Ci sono date che segnano irrimediabilmente. Non occorre che vedano attuarsi il peggiore degli scenari possibili per fare da spartiacque tra la vita di prima e quella a seguire. Nella fattispecie, nell'esistenza del piccolo Noce così come in quella del suo alter-ego filmico, il padre resta ferito ma si salva, mentre a restare sull'asfalto sono un agente della scorta e un terrorista.

Il film racconta una pagina di storia d'Italia, quella degli anni di piombo e della cosiddetta "notte della Repubblica", dal punto di vista di un bambino, uno di quei piccoli invisibili che si sono trovati il fatto di cronaca tra le mura di casa. Le famiglie coinvolte in certi sanguinosi scontri difficilmente hanno lo spazio per venire ritratte oltre la bidimensionalità di vittime, "Padrenostro" intende invece illuminarne la prospettiva. Nascendo come lettera a un genitore, ma anche come elaborazione di contenuti privati impossibili da rimuovere, la storia personale vissuta da Claudio Noce aspira a farsi universale.

Favino stavolta non giganteggia, la sua è un'interpretazione piuttosto trattenuta, perché lo richiede il ruolo: un uomo d'altri tempi, affabile in famiglia ma anche impenetrabile e non avvezzo a troppe spiegazioni o manifestazioni d'affetto. Una presenza assenza, la sua. Uno di quei classici genitori che assurgono a preferiti proprio perché irraggiungibili, troppo presi da impegni extra-familiari. Il fatto che il personaggio, verso la fine, sperimenti lo stesso panico del figlioletto non desta però commozione perché il coinvolgimento, in precedenza, da spettatori, non è stato viscerale.

Fatti

salvi l'argomento nobile, le intenzioni testimonianti e il valore della vicenda biografica del regista, "Padrenostro" non si rivela un'opera particolarmente centrata, non al punto da meritare di trovarsi in concorso al Lido.

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