Oggi al Lido è il giorno del primo film italiano in concorso, Bones and all, opera attesissima perché vede alla regia Luca Guadagnino e sullo schermo Timothée Chalamet, proprio come già avvenuto per il bellissimo “Chiamami col tuo nome”, film divenuto poi un cult.
Adattamento cinematografico dell’inquietante omonimo romanzo di Camille DeAngelis, che ne ha curato la sceneggiatura insieme a David Kajganich (già collaboratore di Guadagnino), “Bones and all” è un road movie che attraversa il Midwest nei tardi Anni 80.
Protagonista è una ragazza, Maren (Taylor Russell), che si trova a poter contare solo sulle proprie forze. Ha scoperto da poco di essere una creatura diversa dalle altre, la cui natura cannibale non è arginabile a lungo. Quelli come lei non sono tanti, ma sono capaci di fiutarsi tra loro, ed è così che Maren incontra un ambiguo individuo, Sully (Mark Rylanc), che sembra volerle fare da mentore. Lei, non fidandosi, decide di proseguire il suo percorso alla ricerca di sé. Quando s’imbatte in una seconda persona della sua specie, il giovane vagabondo Lee (Timothée Chalamet), ne fa il proprio compagno di viaggio. I due, condividendo le stesse sensazioni e difficoltà, proveranno a condurre una vita per quanto possibile normale. La loro comune volontà di non nuocere ad anima viva si scontrerà però con l’imprescindibile istinto a procurarsi esseri umani come cibo.
Guadagnino guarda con tenerezza all’umana complessità di questi ragazzi, al loro miscuglio di innocenza e tormento, al loro essere così giovani e già disgustati per il destino che li attende.
“Bones and all” ha la peculiarità di avere un antagonista che sappiamo da subito essere invincibile. Il vero villain nel film è infatti l’impulso cannibale, quindi qualcosa di interno ai protagonisti e di inalienabile da loro. Ingurgitare carne umana per Lee e Maren è una coazione comportamentale che ha una giustificazione biologica e non c’è antidoto. Il film mostra però che ci si può dare un codice morale anche in circostanze estreme. Quanto all’amore, qui non è l’antidoto. Non ha impatto salvifico come nelle fiabe. Bisogna accettare che talvolta amare significhi semplicemente astenersi dal rendere le cose più difficili di quel che già sono.
Ci sono vari spunti non esplorati in “Bones and all”. C’è ad esempio l’idea interessante di far combaciare la piccola morte, ovvero l’orgasmo, con la morte vera e propria, ma pare incidentale. Che alimentarsi insieme sia una forma di intimità e quindi come tale una declinazione casta del fare l’amore, è un’altra considerazione che rimane in superficie, proprio come resta al buio il sottile confine tra passione sessuale e desiderio di inglobare l’amato. Non sapremo mai, inoltre, se la protagonista sia bulimica di libri per arginare la solitudine oppure per sublimare il suo desiderio di nutrimento.
A tenere desta l'attenzione c’è Timothée Chamelet, al solito dotato di una luminosità tutta sua, oltre che di talento cristallino e di beltà versatile. Peccato che il look finto trasandato del suo Lee sembri partorito dal miglior stylist su piazza.
«Quest’uomo ha cambiato la mia vita» ha detto Chamelet sbarcando al Lido e riferendosi grato a Guadagnino. Ebbene, a fine visione la frase suona come una captatio benevolentiae atta a giustificare la sua partecipazione a un film non certo all’altezza della precedente collaborazione tra i due.
Lungimirante comunque la scelta del giovane divo di comparire tra i produttori dell'opera: orde di teenager pronti a gridare al capolavoro (come in passato per la saga “Twilight” o la serie “Teen Wolf”) faranno segnare incassi record al botteghino.“Bones and all”, ad ogni modo, resta narrativamente prevedibile e dalla cifra autoriale impalpabile.
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