Per il grande critico letterario Edmund White Verso il Paradiso di Hanya Yanagihara è un nuovo Guerra e pace, per il Premio Pulitzer Michael Cunningham «è un romanzo visionario di portata e profondità sbalorditive. Un romanzo così stratificato, così ricco, così rilevante, così pieno di gioie e terrori - il puro mistero della vita umana - non è solo raro, è rivoluzionario». Arriva oggi nelle librerie americane e italiane, in contemporanea, la nuova attesissima prova narrativa della scrittrice statunitense, di origini hawaiane, Hanya Yanagihara. Dopo il successo di critica e di lettori di Una vita come tante (pubblicato in Italia da Sellerio nel 2015), finalista al National Book Award e al Booker Prize, questo Verso il Paradiso (Feltrinelli, traduzione di Francesco Pacifico, pagg. 768, euro 22) è un romanzo che senza dubbio nelle intenzioni dell'autrice mira a diventare un classico della letteratura postmoderna: quel Grande Romanzo Americano che in tanti da anni cercano di scrivere. I presupposti per diventarlo c'erano, il risultato meno.
Yanagihara ci consegna un romanzo ambientato nel passato che si proietta nel futuro del 2093 attraverso protagonisti e personaggi che si chiamano tutti allo stesso modo, luoghi che sono sempre gli stessi ripetendosi e confondendosi nel tempo e nella memoria (anche del lettore). E se nei romanzi russi è necessario appuntarsi i nomi per non perdersi, tra queste pagine il terremoto del tempo che divide il romanzo in tre libri distinti ma collegati - alla lunga non risulta del tutto riuscito.
Le tre storie sono ambientate nel 1893, nel 1993 e nel 2093 ed esplorano il destino dell'umanità, il potere e il dolore dell'amore, la singolare rovina provocata dagli Stati Uniti. Lungo più di 700 pagine, ciascuna delle tre sezioni ha una narrazione distinta, ambientata in un'iterazione storica controfattuale del luogo che chiamiamo Stati Uniti. Le storie sono collegate da ambientazioni e temi: una casa a Washington Square nel Greenwich Village di New Yotrk è centrale in ognuna di esse; le Hawaii compaiono spesso, soprattutto nella seconda parte. Gli stessi nomi sono usati per personaggi (molto diversi) in ogni storia anche se quasi tutti sono gay e molti sono sposati. La malattia e la disabilità sono temi in ciascuna delle tre parti, più drammaticamente nella terza, ambientata in una distopia totalitaria post-pandemica brutalmente dettagliata e simile al nostro presente.
Ecco il singolo collegamento della trama che siamo riusciti a trovare: nella terza parte, un personaggio ricorda di aver sentito una storia con la trama della prima.
Si rammarica del fatto che non è mai riuscita a sentirne la fine: «Dopo tutti questi anni mi sono ritrovata a chiedermi cosa fosse successo... Sapevo che era sciocco perché non erano nemmeno persone reali, ma pensavo spesso a loro. Volevo sapere cosa ne era stato di loro».
In nessuna delle tre parti tutti gli Stati americani sono uniti e la precarietà sociale e l'autoritarismo si sono amplificati nel tempo, l'unica libertà appare quella sessuale. Ogni sezione termina con le parole «in paradiso», e ogni volta sappiamo che i personaggi sono probabilmente diretti all'inferno.
Il romanzo è ambientato appunto a New York che fa parte degli «Stati Liberi» che sono«liberali» in termini sessuali ma ancora classisti e ancora razzisti. E se nel primo libro, che ricorda molto Edith Warthon, sono i danni della Guerra Civile a essere il vero soggetto del romanzo, nella seconda nel 1993 lo è l'Aids e nella terza nel 2093 è una pandemia molto simile a quella che stiamo vivendo. La sfida che Yanagihara pone al lettore non è tanto quella di decodificare la complessità dei rimandi quanto quella di sopravvivere a un tuffo nella teoria del caos. Le armonie distorte delle tre trame sembrano progettate per rivelare quanto gli esseri umani siano irretiti da coincidenze e conseguenze imperscrutabili e su quanto siano ignari dei lunghi «archi di causalità». Verso il Paradiso racconta come eventi minori e scelte personali possono creare innumerevoli storie e futuri alternativi, sia per gli individui che per la società. La lettura del romanzo offre l'eccitante e inquietante sensazione di trovarsi davanti a uno specchio infinito, con un numero infinito di sé ma ciò che la scrittrice sembra principalmente sostenere è che il paradiso è un concetto assurdo, escludente e pericoloso e fatalmente auto-illudente: «Stavamo recitando, e dato che il nostro fingere non riguardava nessuno - finché ovviamente non lo faceva - potevamo essere indulgenti quanto volevamo. ... In realtà non abbiamo fatto nulla - non abbiamo nemmeno provato a piantare la foresta che volevamo».
Yanagihara gioca con gli spostamenti temporali nelle diverse Americhe che racconta. E se, dopo la guerra civile, la razza e la classe fossero state ancora fulcri d'ingiustizia e oppressione nella società, ma la sessualità no? E se, di fronte a pandemie devastanti, il governo americano desse la priorità al contenimento del virus e alla massimizzazione delle vite salvate, isolando forzatamente i malati e ignorando le preoccupazioni per le libertà civili e i diritti umani? Quanto dovrebbe cambiare perché il mondo sia diverso? E se Manhattan fosse un'isola allagata di fiumi e canali...
O se vivessero in una scintillante metropoli senza alberi e interamente di ghiaccio? E se il governo autoritario del 2093 vietasse i viaggi, internet, l'omosessualità e la maggior parte delle libertà civili, tutto in nome della presunta massimizzazione della capacità di procreare degli umani sopravvissuti?
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