"Il vero mago è Woody. Ha esaudito il mio sogno di lavorare con lui"

Colin Firth diretto da Allen in Magic in the Moonlight (da domani nelle sale italiane) racconta la vita sul set col grande regista: "È meticoloso, ci spiegava ogni cosa"

Colin Firth con Emma Stone in "Magic in the Moonlight"
Colin Firth con Emma Stone in "Magic in the Moonlight"

da Los Angeles

È il turno dell'attore inglese Colin Firth (Oscar nel 2011 per Il discorso del re , dov'era Giorgio VI) di misurarsi con il “metodo Woody Allen”. In Magic in the Moonlight , commedia romantica molto alla James Ivory ambientata negli anni Venti nel sud della Francia, Firth è un mago illusionista deciso a smascherare una sedicente e falsa «mistica» (Emma Stone) per poi ovviamente finire con l'innamorarsi di lei.

«Era un'idea che Woody aveva nel cassetto da decenni, e non si decideva a metterla in pratica proprio perché gli sembrava troppo ridicola come storia contemporanea», spiega Firth a Los Angeles, dove lo abbiamo incontrato in occasione del lancio del film (nelle sale italiane da domani). «Poi gli si è accesa la lampadina: Francia! Anni Venti! Gli era piaciuto l'ambiente nella rêverie di Midnight in Paris , e lo ha ritenuto perfetto per Magic in the Moonlight , come del resto tutti noi».

Felicemente sposato dal 1997 con la produttrice e promotrice del fashion ecologico Livia Giuggioli dalla quale ha avuto due figli maschi, di 13 e 11 anni, Luca e Matteo, evangelisti, Firth passa la maggior parte del tempo libero nella loro villa in Toscana. Nella sua vita ci sono anche Londra e New York. E come altri grandi attori inglesi, citiamo Daniel Day-Lewis e Ralph Fiennes, anche Firth, 54 anni, proviene da una famiglia di accademici, intellettuali e letterati. Firth è ora sugli schermi anche con Le due vie del destino - The Railway Man (la storia di un prigioniero di guerra inglese e del suo incontro, 40 anni dopo, con il suo torturatore nazista); in arrivo c'è poi Before I Go to Sleep , in cui ritrova Nicole Kidman, sua controparte in The Railway Man .

Sembra che nessun attore sia capace di dire di no a Woody Allen.

«È un'esperienza che bisogna fare almeno una volta nella vita. Lavorare con Woody era nella mia lista dei sogni ancora irrealizzati. Sono cresciuto con i suoi film. Da ragazzino non me ne perdevo uno. Io e Annie e Il dormiglione sono tra i miei Top 5 assoluti. E poi il fatto di girare come una comitiva itinerante ha aggiunto un certo non so che».

Vale a dire?

«Woody ha girato i suoi ultimi otto film in Europa, e usa le location in maniera splendida. Se le gode davvero. Si gira ma si esplora anche, si fa commedia, o dramma, ma anche antropologia culturale. Woody è curioso in maniera contagiosa delle usanze altrui. Oddio, io nel Sud della Francia sono praticamente di casa, essendo mezzo italiano... Insomma alle differenze, e agli incroci e agli incontri e agli scontri culturali sono abituato. E vivo la tipica storia di opposti che attraggono con la mia moglie mediterranea passionale, io anglosassone cerebrale e un po' rigido. Ma per ora funziona. Grazie a lei ho acquisito una flessibilità, umanamente parlando, che prima non avevo».

Com'è lavorare con Woody Allen?

«È diverso da come l'immaginavo. Sentivo dire da tutti che, a parte la famosa storia del non leggere a nessuno l'intero copione, ma soltanto le battute che ti spettano, è un regista che non dirige gli attori. Ma non è vero. Sarà l'età, ma a noi ci ha diretti con grande meticolosità e attenzione ai dettagli. È molto verbale nelle sue indicazioni».

Quali ricerche ha svolto per il film?

«Ci sono documentari e fotografie di illusionisti di quel periodo: andavano molto di moda allora, riempivano i teatri. Non solo Houdini. I maghi piacevano agli artisti, soprattutto ai surrealisti e ai dadaisti, i quali nei trucchi e nell'arte dell'illusione vedevano un riflesso dell'ingannevole relatività della vita e degli elementi naturali. E il cinema è magia».

Ne avete parlato molto con Woody Allen?

«Lui era affascinato da The Railway Man , che avevo girato poco prima, una storia molto dura e tragica sulla crudeltà umana. Woody sostiene che alcuni di noi raccontano storie che ci mettono a confronto con la vita e i suoi orrori, mentre altri fanno film per distrarci e alleggerire la nostra vita e divertirci. Lui fa parte della seconda categoria».

Lei è considerato un sex-symbol dai tempi di Valmont , il film di Milos Forman del 1989, ma soprattutto per il ruolo di Darcy nei vari Bridget Jones . Che cosa si prova a esserlo?

«Diventare un punto di riferimento nella cultura popolare mi ha deliziato. E mi delizia ancora, anche se mi sembra tutto molto strano, se non proprio surreale.

Perché Darcy di Bridget Jones , aldilà degli scherzosi riferimenti a Cime tempestose , è un imbranato spaventoso, un nerd . Darcy sexy? Ma andiamo! Eppure io sono un po' come lui, simpatico, sensibile, ma tremendamente goffo con le donne. Che cosa Livia abbia trovato in me, quando mi conobbe, ancora me lo chiedo».

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