"Vi canto le opere degli artisti italiani alla corte dello zar"

La diva della lirica ha scovato a San Pietroburgo un tesoro musicale dimenticato. E lo ha inciso

"Vi canto le opere degli artisti italiani alla corte dello zar"

Colbacco bianco neve, morbido, a prova d'inverno russo. Sguardo fiero, da implacabile zarina. Chi è costei? È il mezzosoprano Cecilia Bartoli in abiti di scena per l'ultimo cd Decca, condiviso con i Barocchisti di Diego Fasolis. Un album di arie abbandonate nelle biblioteche di San Pietroburgo e composte da artisti italiani alla corte degli zar, o da artisti russi ispirati dai nostri connazionali. Artista da dieci milioni di dischi, la Bartoli ha scelto la reggia di Versailles per presentare il cd. Al lancio, cui seguirà un tour europeo, c'erano giornalisti da 20 Paesi, registi (Michieletto per esempio), cantanti (Villazon), manager (Pereira). E rappresentanti dello sponsor russo cui si deve il regale evento e parte del tour. Perché tutto questo non è stato fatto a San Pietroburgo? Paul Moselein, manager director Decca, ha rinunciato dopo essersi imbattuto nella burocrazia russa, ma anche per ragioni ideologiche che avrebbero lasciato a casa non pochi invitati anti-putiniani.

Il disco esce in un momento delicatissimo del Paese.

«È nato durante i Giochi di Sochi. Poi è successo quel che è successo… L'arte serve anche ad aprire dialoghi».

Tuttavia la Russia non è inclusa nel tour.

«Lo porteremo anche lì, ci stiamo lavorando. Ho poi un grande sogno. Attraversare l'intero Paese in treno con artisti russi e italiani».

Non si è sentita un po' 007 a San Pietroburgo?

«Non è stato semplice consultare gli scritti. La biblioteca di San Pietroburgo a un certo punto è stata chiusa per restauri, poi c'erano vincoli con la biblioteca di Washington».

Quindi ha bussato alla porta del direttore Valery Gergiev, giusto?

«Il quale è gelosissimo delle sue cose. Però poi l'ho convinto insistendo sulla componente russa del progetto. A quel punto ho avuto accesso agli archivi».

Come andava a San Pietroburgo, lei che teme l'aereo?

«In treno, e da Lubecca in nave rompighiaccio: zzzzz, fantastico il rumore del ghiaccio in frantumi».

Chiuderà la stagione Expo della Scala. Anche lei, come il tenore Alagna, si farà prendere dalla paura del loggione urlante e annullerà?

«Sono contestazioni di quattro o cinque persone, pensiamo alle altre 1996 che applaudono. Callas, Pavarotti… tutti sono stati fischiati. Perché non vederlo come un punto d'onore? O momento pittoresco?».

Continua a intrigarla l'esperienza manageriale del Festival di Salisburgo…

«Sì. È un ruolo prestigioso e di grande responsabilità. Cerco di far progetti originali, che è poi la ragione per cui, credo, hanno deciso di chiamare me. Forse c'era il desiderio di rinnovare il festival, di portare un po' d'aria fresca».

Scala. La rincuora la gestione Pereira-Chailly?

«Il sovrintendente avrà non poco lavoro da fare, ha però dalla sua parte tanta esperienza. Pensiamo a quello che ha fatto a Zurigo: ha ribaltato il teatro. Chailly, poi, con cui debuttai in Cenerentola, è un grande direttore e divulgatore».

Come commenta, da romana, gli accadimenti all'Opera di Roma?

«Hanno lasciato partire un direttore come Muti. Come è stato possibile? Ora c'è un'orchestra senza direttore, cioè senza anima. E poi, cosa succede all'amministrazione del teatro? Per troppi anni la gestione è toccata anche a politici che non amavano e non si occupavano di musica».

Sua mamma, per anni nel coro dell'Opera, ricordava che un tempo gli impiegati si contavano sulle dita della mano, ora sono centinaia…

«In questo momento, poi, cosa amministrano se non ci sono gli artisti? Rimangono lì solo perché c'è un contratto?».

Lo sguardo in copertina del cd è piuttosto impositivo…

«Va bene, sì, sono pure molto disciplinata, nel mondo professionale sicuramente».

Fuori?

«Il giusto».

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