Domani, nell'ambito del caleidoscopico programma della Milanesiana 2021 (ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi), a partire dalle 21, la piazza del Duomo di Monza diventerà molto siciliana. La serata - a fare gli onori di casa sarà proprio Elisabetta Sgarbi - sarà infatti dedicata a Leonardo Sciascia e l'arte. Ci sarà una lettura di testi del grande scrittore di Racalmuto, la voce sarà quella dell'attrice Sabrina Colle, e una lectio di Vittorio Sgarbi intitolata: «Sciascia critico d'arte». Sgarbi poi tornerà a parlare di Sciascia il 5 luglio alle 21 in Piazza del Kuerc a Bormio, sempre nell'ambito della Milanesiana, in una serata dal titolo Leonardo Sciascia. A futura memoria (se la memoria ha un futuro), questa volta in compagnia di Pietrangelo Buttafuoco. Abbiamo, quindi, chiesto al critico di anticiparci, chiacchierando con noi, alcuni dei moltissimi temi dei sui interventi.
Sgarbi, perché Leonardo Sciascia che noi conosciamo soprattutto come scrittore è importante anche per la critica d'arte?
«Sciascia aveva una spiccatissima sensibilità verso l'arte contemporanea. Aveva con la critica un rapporto che potremmo definire di preterizione. La capacità di cogliere il valore di artisti che da parte della critica ufficiale erano negletti. Ovviamente ha compiuto anche interventi di grande importanza relativamente all'arte moderna, basti ricordare la sua attenzione al furto della Natività di Caravaggio nel 1969 che ha ispirato Una storia semplice o il suo accostamento fra il Trionfo della Morte di Palermo e Guernica di Picasso, sfruttato per la difesa dei beni culturali nel suo intervento in Parlamento del 1983 sul restauro del dipinto. Ma la sua capacità di guardare dove la critica non guardava è ciò che conta se parliamo di Sciascia. Era curioso, colto, corsaro. Senza pregiudizi».
Mi faccia un esempio...
«Io e Sciascia abbiamo iniziato a frequentarci in maniera più intensa quando Gesualdo Bufalino, che era suo amico, vinse il Campiello nel 1981, quindi ho seguito da vicino il suo percorso quando iniziò a pubblicare alla Bompiani, grazie a mia sorella. E proprio con Bompiani ha pubblicato Invenzione di una prefettura, nel 1986. Si tratta del contributo fondamentale per la riscoperta e la valorizzazione degli affreschi di Duilio Cambellotti. Gli affreschi erano di epoca fascista e, quindi, venivano, follia, addirittura coperti con dei teli per non mostrarli, erano vittime di un insensato tabù. Sciascia con Invenzione di una prefettura ha analizzato quel progetto figurativo senza alcun pregiudizio ideologico, è stato capace di rompere il tabù... Ma non solo, Sciascia ha contribuito alla riscoperta di moltissimi artisti come Alberto Savinio, che alla fine, prima del suo intervento veniva considerato quasi soltanto il fratello scemo di Giorgio De Chirico... Lui ne ha colto in pieno il valore. E ha colto il valore di molti artisti che si sono mossi poi sulla linea di Savinio. È stato il massimo studioso di Fabrizio Clerici, altro artista con venature surrealiste, rimasto ai margini dell'interesse della critica diciamo così ufficiale. Senza l'interesse di Sciascia non sarebbe sopravvissuto nella memoria. Così come è stato importante nel cogliere tutto il potenziale dell'arte di Guttuso. Guttuso, dal punto di vista commerciale, era certamente un artista di successo ma la critica lo trascurava, in quanto figurativo. Sciascia ha colto il suo essere una sorta di Van Gogh Italiano. Ma siamo debitori a Sciascia anche per l'attenzione verso Karl Plattner e la sua vena molto espressionista. Tutti questi artisti venivano messi ai margini rispetto ai Burri o ai Fontana, rispetto alle avanguardie. Ma lui era capace di coglierne il valore».
Una sorta di supplenza alla critica d'arte portata avanti da un grande scrittore?
«Sì, esattamente, creava un ponte tra la letteratura e l'arte così come faceva il poeta Giorgio Soavi, altro scrittore capace di cogliere il genio di Giacometti o quello di De Chirico. E infatti è un peccato che gli scritti d'arte, le introduzioni, i cataloghi di Sciascia non siano mai stati raccolti in volume... Non si è mai riusciti anche se io ho insistito sia con la famiglia che con la Fondazione. Al momento l'unico testo esistente sul tema è il libro di un giovane studioso che si chiama Giuseppe Cipolla. Si intitola Ai pochi felici Leonardo Sciascia e le arti visive un caleidoscopio critico. Ovviamente cita molti stralci di testi di Sciascia ma è, per me, incomprensibile che non ci sia una pubblicazione completa dei testi di Sciascia relativi all'arte... Le sue sono meravigliose azioni corsare purtroppo come dicevo quasi dimenticate».
Aveva un legame viscerale anche con la fotografia?
«Certamente, era in primo luogo uno scrittore fotografico a partire proprio dal suo stile narrativo: era uno scrittore oggettivo. Ovviamente, questa sua attitudine lo ha portato a collaborare con grandi fotografi come Enzo Sellerio e soprattutto Vittorio Scianna con cui ha prodotto una serie di monografie illustrate. Del resto è stato recentemente pubblicato da Mimesis, a cura di Diego Mormorio, Sulla fotografia, che ci mostra alcuni degli scatti dello stesso Sciascia e raccoglie alcuni dei suoi scritti più interessanti su questo tema. Era attento anche al mondo delle stampe e della grafica. Voleva coinvolgermi negli anni '80, mi riteneva la persona più adatta, nel progetto di ripubblicare, con Franco Maria Ricci con cui io collaboravo, una rivista di arte liberty, ricca di stampe e di disegni che si chiamava Fiammetta... Un progetto rimasto nel cassetto per la sua morte».
Al momento leggere direttamente lo Sciascia che parla di arte resta un'operazione quasi impossibile per il grande pubblico.
«Che non si facciano pubblicare i suoi scritti o da Adelphi o anche dalla casa editrice di mia sorella è incomprensibile. Il testo di Cipolla è interessantissimo ma dovrebbe essere l'introduzione a una pubblicazione. Sono tantissimi gli artisti su cui Sciascia ha dato un contributo fondamentale.
Lui è stato il più sensibile lettore di Piero Guccione e di tutti i grandi pittori della scuola di Scicli. Lo stesso per un artista come Giuseppe Modica o uno scultore come Emilio Greco. Sempre al di fuori degli orientamenti prevalenti della critica... Era un presidio di cultura».
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