Giuseppe ConteI l Simorgh, che appare sin dal titolo del nuovo libro di Roberto Mussapi (La piuma del Simorgh, Mondadori, pagg. 101, euro 18), è l'alato sacro della mitologia iranica che, ripreso dal misticismo Sufi, da Firdusi, Sa'di, Attar, abita sulla vetta della montagna di Qaf e diventa il simbolo dell'io, occulto, del viaggio alla ricerca di sé, di un trascendente che alla fine ciascuno di noi trova nella propria essenza interiore. Ho l'impressione che in questo suo libro Mussapi, più che altrove nella sua opera, con più energia e con più sofferenza, scopra nei viaggi che lo portano lontano il riflesso di una ricerca tutta interiore, di scavo nella propria vita, oltre che nella propria cultura poetica. È un libro lirico nonostante le premesse di poetica dell'autore più indirizzate verso l'epica, e vive in momenti di altissima suggestione e commozione. Io ho cominciato a leggerlo sentendomi subito preso dalla sua forza tematica, qualità che ormai richiedo sempre alla poesia, stanco di astrattezze prudenti e di versi senza nessun contenuto riconoscibile. E il tema che ho per primo sottolineato, e che poi mi ha accompagnato pagina dopo pagina, è quello della rinascita. Si legge all'inizio del libro: «La luce non si attenua mai, si spegne. / Come l'uccello che conosciamo, per rinascere». E pochi versi più sotto: «Non esiste un tempo intermedio, / tu passi e affoghi per rinascere». E in testi successivi: «Io muoio e rinasco mille volte», o «io sto rinascendo». C'è il senso di una permanenza, di una perseveranza dell'essere, della vita nella morte. Ci sono versi che citano Eliot che cita Dante, che usano Baudelaire per dire che il «simile e fratello» non è l'ipocrita lettore, ma il poeta stesso; c'è una musica ondulante, che non privilegia l'endecasillabo e che insegue un andamento discorsivo, a tratti drammatico (Mussapi è anche un valente drammaturgo). Tutto si riflette nell'anima del poeta: il senzatetto che staziona vicino al Teatro San Carlo, Achille che medita sulla morte, il cigno che vola come una epifania sul Lago di Garda, gli amici Yves Bonnefoy e Marco Nereo Rotelli, il primo grande maestro di poesia, il secondo appassionato, generoso cultore del rapporto tra luce e parola, la dedicataria di un bellissimo «Sonetto a T» che ha echi di Ronsard e di Yeats. Il tema della rinascita si piega poi verso quello della resurrezione, una «resurrezione incessante».Senza niente di dogmatico o di chiesastico, il libro di Mussapi è al suo fondo un libro religioso e cristiano. E non è un caso che la parte finale si intitoli «Frammenti dall'esistenza di Maria» e sia così perfettamente, teatralmente riuscita, con la voce segreta dell'Arcangelo che culmina col dire: «In quell'istante lei lo vide morto/ in quell'istante lo vide risorto».
La piuma del Simorgh ha curato una ferita dell'anima, e ha portato Mussapi a compiere forse il più bello dei suoi viaggi, quello in cui è arrivato alla più profonda coscienza di sé, e ha riconosciuto il suo dono nella «vita, piena, che avevamo accanto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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