Figlio di facoltosi banchieri, considerato uno dei più importanti promotori delle discipline umanistiche e rispettato nel mondo accademico tra XIX e XX secolo, il tedesco Aby Warburg (1866-1929), autodefinitosi «amburghese di cuore, ebreo di sangue, d'anima fiorentino», fu quasi dimenticato al tempo della Germania nazista e nei primi anni dopo la Seconda guerra mondiale. Prima studioso della rinascita dei soggetti mitologici nella cultura figurativa fiorentina rinascimentale, poi di psicologia (a Berlino) e di culture primitive (per questo soggiornò presso gli indiani Pueblo nel Nuovo Messico), tra il 1918 e il 1923 Warburg, a causa di una grave malattia mentale, fu costretto a più di un ricovero in una clinica presso Kreuzlingen. La morte lo colse all'improvviso dopo una conferenza tenuta a Roma nel 1929 presso la Biblioteca Hertziana, intitolata Bilderatlas Mnemosyne.
Rimasto incompiuto e inedito, il progetto presentato allora attraverso una serie di pannelli illustrati è stato pubblicato nel 2002 da Aragno col titolo Mnemosyne. L'atlante delle immagini. Frutto del lavoro di un'intera vita, l'opera si compone di circa duemila immagini e rappresenta la sintesi delle ricerche di Warburg sulla rinascita del paganesimo antico nel contesto più generale della dinamica tra parola e immagine. Mnemosyne illustra come alcuni valori espressivi fondamentali dell'antichità siano stati raffigurati nella rappresentazione della vita in movimento e della gestualità nell'arte del Rinascimento italiano ed europeo. Il trasferimento della sua grandiosa biblioteca e della sua fototeca a Londra all'avvento del nazismo, avvenuto in nave grazie all'allievo Fritz Saxl, permise di salvare la sua eredità e, anche attraverso la fondazione del Warburg Institute, diffuse la disciplina della storia dell'arte nei Paesi anglosassoni.
A sollecitare un nuovo interesse verso l'eredità lasciata da Warburg, pur frammentata tra appunti, manoscritti incompiuti e circa 35mila lettere, è stata la mostra accompagnata dal prestigioso catalogo dell'editore Hatje Cantz, proposta nel 2020 a Berlino presso l'Haus der Kulturen der Welt, con la quale i curatori Roberto Ohrt e Axel Heil hanno riprodotto quasi completamente l'ultima versione documentata dell'atlante del 1929, con le illustrazioni originali. Oltre ai 63 pannelli della sua opera principale, esposti per la prima volta, si poterono ammirare le 20 inedite lastre di grande formato prima accessibili soltanto negli archivi del Warburg Institute.
In Italia, a conferma della cresciuta attenzione verso il lavoro dell'ebreo amburghese fiorentino, dopo il grande impegno profuso dagli editori Aragno e Abscondita, è da poco disponibile un secondo volume Einaudi ben curato da Maurizio Ghelardi per «I Millenni» Einaudi (Aby Warburg, Fra antropologia e storia dell'arte, pagg. 726, euro 85). Ghelardi è autore qui di un esteso scritto introduttivo, necessario per affrontare, attraverso la messa a fuoco del metodo di studio di Warburg (il cosiddetto «metodo psicostorico»), una variegata galassia di saggi, conferenze e frammenti. Adeguatamente accompagnati da un ingente apparato d'illustrazioni (comprese foto scattate dallo stesso studioso durante il suo soggiorno presso gli indiani Pueblo), i testi del critico d'arte sono ordinati per tematiche: ad una prima parte dedicata all'«uomo simbolico» segue una seconda contenente gli appunti sul citato progetto Mnemosyne e sull'arte del ritratto nella Firenze dei secoli XV e XVI e una terza nella quale i temi delle due precedenti ritornano sotto il titolo «L'eredità dell'Antico», solo in forma ancor più frammentaria e asistematica.
A fare da stelle di riferimento nell'avventurosa navigazione warburghiana alla ricerca del «principio costruttivo dell'invariante antropologica che
determina le varianti delle diverse culture» (Ghelardi) sono Friedrich Nietzsche e Jacob Burckhardt, cioè il caos dell'eccitazione dolente (il dionisiaco) da un lato e il percepire distaccato e ordinato delle forme (l'apollineo).
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