"La vita davanti a sé", film anonimo ma con una Loren da Oscar

Un racconto di integrazione e tolleranza, attutito nella potenza da una certa retorica didascalica, ma che merita la visione per un dono irrinunciabile chiamato Sophia Loren

"La vita davanti a sé", film anonimo ma con una Loren da Oscar

Edoardo Ponti nel film La vita davanti a sé, targato Netflix Original e disponibile sull’omonima piattaforma, dirige sua madre, l’intramontabile Sophia Loren, tornata finalmente sul set dopo quasi dieci anni. L’interpretazione della splendida attrice ottantaseienne è magistrale e intensa, non stupisce che oltreoceano si parli già di candidatura all’Oscar.

A lasciare delusi è che una tale visione avvenga in un film che non va a segno e che, nel complesso, se non fosse per la presenza della diva, si dimenticherebbe in fretta.

Malgrado racconti una storia di solitudine, amore e solidarietà, “La vita davanti a sé” manca, infatti, di graffio emotivo: la regia è equilibrata ma convenzionale, la scrittura impalpabile al punto da risultare anonima e i temi, di portata universale, osservati solo in superficie.

La trama del film è quella del romanzo che Romain Gary scrisse nel 1975, con lo pseudonimo di Émile Ajar, ma la narrazione è qui spostata dalla Belleville di Parigi all’altrettanto multietnica Bari. Madame Rosa (la Loren) è un’ebrea sopravvissuta ai lager ed ex prostituta che, raggiunta la tarda età, sbarca il lunario offrendo rifugio ai figli di chi ancora fa il mestiere e non saprebbe a chi lasciarli. Un giorno il vicino di casa, il Dottor Cohen (Renato Carpentieri), affidatario di Momò (l’esordiente Ibrahima Gueye), dodicenne di origini senegalesi divenuto ingestibile, le chiede di ospitare il ragazzino un paio di mesi, il tempo di trovargli una nuova sistemazione. Inizialmente molto riluttante, avendo subito un furto in strada ad opera proprio del turbolento soggetto, Madame Rosa alla fine accetta di prendersene carico. Nonostante la differenza d’età, di etnia e di temperamento, tra i due nascerà un sincero sentimento d’amicizia.

Indubbio che non si diventi icone per caso e la Loren, pur nell’economia dei gesti e dei dialoghi, si mangia la scena. Il talento sempreverde, le venature partenopee e il magnetismo ammaliante sono declinati stavolta in un ruolo, quello di una chioccia dai modi spicci e distaccati, che ne ricorda molti altri impersonati nella carriera: sono continui e innegabili i déjà-vu dettati ora da un particolare, ora da un'espressione, da cui scaturisce non solo come il tempo non scalfisca l’essenza della bellezza, ma come possa impreziosirla.

Sophia Loren, generosa e completamente al servizio della storia, è la chiave di volta di un film che mostra come sia possibile riconoscersi anche nell’individuo apparentemente più lontano da noi e come i legami significativi, spesso, nascano tra persone che hanno in comune un trascorso di dolore ed emarginazione. Il disincanto dona a taluni scaltrezza, ad altri irruenza, ad altri ancora una profonda sensibilità, ma porta sempre a parlare un linguaggio comune, che passa dagli occhi. A questo proposito l'attrice dona al proprio personaggio lo sguardo sgualcito e stanco delle madri provate dalla vita e dagli anni, ma anche la loro stessa indomita capacità di partorire, con amore, una nuova prospettiva. Importante che nel film si alluda (anche con personaggi secondari) a un materno che nulla ha a che fare con il suo significato biologico, ma che abbraccia qualcosa di molto più ampio e imperituro.

"La vita davanti a sé" parla di un percorso di crescita e di cambiamento che travalica l'età, perché si può

sbocciare a nuove comprensioni in ogni istante, fosse anche l’ultimo. Certi incontri, fecondandoci, accelerano la fioritura di un senso, non importa se relativo alla vita che ci aspetta o a quella già passata.

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