Ha charme viennese, passaporto tedesco, residenza in California, dove a volte vive con la seconda moglie Judith Holste, la sua costumista preferita. Però Christoph Waltz, star internazionale da quando ha vinto due Oscar col regista di culto Quentin Tarantino era la SS Hans Landa di Bastardi senza gloria, 2009 e il teutonico King Schulz in Django Unchained, 2012 -, non è il tipico divo hollywoodiano tutto coca e messa in tiro. Ieri, sul tappeto rosso dell'Auditorium, l'attore 61enne ha inaugurato la prima giornata della Festa del Cinema con la sua cordialità trattenuta. Il primo film ufficiale è stato invece «Hostiles» il western moderno di Scott Cooper. Ma la star, attesa da tanti ragazzi, è stata Waltz. «Odio i selfie e i social media», premette, firmando autografi a tutto spiano. «Christoph, sei er mejo!», gli gridano i ragazzi lungo il red carpet. E lui, in italiano: «Grazie!».
Interprete eccellente tra teatro e tv; genitori che vengono dal Burgtheater di Vienna; seminari con Lee Strasberg a New York, Waltz ha sempre impersonato il depresso o il maniaco dalle parti dell'Austria: poteva rimanere un nessuno di talento e invece ora è qualcuno. Entrato nella fabbrica dei sogni globali dal cancello principale. C'è chi lo ricorda come acerrimo nemico di James Bond nello Spectre di Sam Mendes o come festaiolo serbo nel mondo Lilliput di Downsizing, film di Alexander Payne che ha aperto la Mostra del cinema di Venezia. «Naturalmente, non ho mai contato sulla mia fama. Se no, mi chiamavo Lady Gaga, mica Cristoph Waltz», scherza lui, dopo aver cumulato una ventina di premi: la sua stella è la numero 2.536 sulla Walk of Fame di Los Angeles. Prima era sposato con una psicanalista americana, che gli ha dato tre figli: di lui non si sa molto, perché è riservatissimo. Ma nell'incontro ravvicinato con il Direttore artistico Antonio Monda, ha narrato di sé, facendo emergere il disincanto del suo carattere. Quasi un personaggio del «Girotondo» di Schnitzler, Waltz non crede nei misteri dell'arte. «Non credo nella storia dell'improvvisazione, che è sopravvalutata: può servire, quando non ricordi le battute. Meglio attenersi alla scrittura, a quanto scritto nella sceneggiatura. Perciò mi trovo bene a lavorare con Tarantino, che è un grande scrittore, prima che un bravo regista», scandisce lui. «Con Quentin abbiamo letto la sceneggiatura di Bastardi senza gloria per due volte, a distanza d'una settimana. Così mi ha scelto». Dopo Tarantino, l'attore si è abbonato alle parti da cattivo. «C'è un perché, squisitamente economico. Se funzioni come cattivo, poi il produttore vuole sempre quel ruolo, per te. Lo fai guadagnare. E poi, è meglio fare il cattivo, che ha tutta una gamma di espressioni. Il buono è noioso, mentre l'antagonista è l'elemento trainante del conflitto». In tanto scetticismo, ce n'è pure per i critici. «I critici non capiscono i film comici: di solito li stroncano. Ma perché non arrivano a capirli. Magari, sono tutti aristotelici», spiega.
Sarà per via della sua sana distanza dall'essere Attore con l'a maiuscola, che Waltz indica ne I vitelloni di Federico Fellini uno dei suoi film preferiti. «Ho conosciuto Fellini a Zurigo, tramite il suo editore tedesco. Avevo 24 anni ed ero in piena ribellione. Lui, invece, arriva con una forbicetta e, zac!, ritaglia da certe mie foto di scena un'immagine sorridente di me. Fellini mi ha insegnato che l'attore è bravo solo se autentico. Cioè, concentrato. La vera autenticità è dentro se stessi. Forse non c'è differenza tra il mondo là fuori e il mondo qua dentro», afferma portandosi la mano al petto. Conoscitore del nostro cinema, Waltz ama un raro film di Francesco Rosi, Il momento della verità, che ha visto tramite un canale Usa di streaming per film classici. «La storia dell'aspirante torero, che non avendo soldi si allena in cantina e poi vince nell'arena, mi fa pensare. Adoro le storie di chi vuole trovarsi un posto nella vita», commenta. E pensa senz'altro a sé anche quando non annette alcuna importanza all'essere e diventare star. «Puoi essere un bravo attore, che rispetta la scrittura, ma che rimane nell'oscurità. O essere irresponsabile e diventare una star, perché il sistema ti costruisce. Per ogni attore, esiste una parte: non credo nel sistema bravo attore/ cattivo attore».
E giù applausi per Waltz il realista, che da giovane amava Marlon Brando e oggi dice: «A 20 anni, pensavo che Brando fosse il mio punto di riferimento. Ma i punti di riferimento cambiano e, mentre tu ti sposti, anche il punto di riferimento si sposta. L'ammirazione non deve mai diventare ideologia».
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