Franco Fayenz una firma davvero jazz

Franco Fayenz non era soltanto un critico di jazz. Era il jazz

Franco Fayenz una firma davvero jazz

Franco Fayenz non era soltanto un critico di jazz. Era il jazz. Lo era nella scrittura, talvolta impervia. Lo era nei rapporti professionali, freddi o caldi, sempre legati all'improvvisazione, al guizzo, all'estro, al sorriso. E jazz è stata anche la sua vita di padovano che ha saputo intrecciare la propria vocazione con i più grandi jazzisti di sempre, scrivendone, parlandoci, ascoltandoli.

Franco Fayenz se ne è andato ieri sera alla vigilia dei 92 anni e, fino a pochi anni fa, era stato il critico di jazz del Giornale e un punto di riferimento dell'intera scena italiana. Laureato in Giurisprudenza quasi per dovere familiare, lui, discendente di Emilio Salgari, non era riuscito a trattenere quella passione indomabile per la musica che portava con sé, più di qualsiasi altra, il senso di libertà.

Negli anni Cinquanta, bel ragazzo brillante, organizzava concerti al Circolo Amici della Musica di Padova. Ma poi ha iniziato a scrivere e non si è più fermato. Prima con la collana I grandi del Jazz, e siamo nel 1961, e poi curando l'edizione italiana dell'autobiografia di Duke Ellington, La musica è la mia donna.

Da lì in avanti Franco Fayenz ha iniziato a diventare, lentamente ma inesorabilmente, uno dei migliori traduttori del dizionario jazz qui da noi, in un Paese lontano per sensibilità e tradizione, dalle forme libere tracciate d'improvviso con gli strumenti sul palco.

Quando scriveva, Fayenz era asciutto, sintetico, lavorava per sottrazione arrivando al cuore dello spartito, del concerto, dell'intervista. Arrivando in redazione, scherzava sempre, faceva battute e persino con me, l'ultimo dei novellini, aveva instaurato un dialogo personale, fatto di allusioni, scherzi, citazioni colte. Stupiva sempre la lucidità con la quale, fissandoti negli occhi, descriveva l'argomento del pezzo. Firma del Giornale e collaboratore del Foglio, del Sole 24 ore, di Amadeus e Musica Jazz, Fayenz era uno di quei nomi che, per decenni, veniva usato dagli appassionati per legittimare o delegittimare quel disco o quel festival. L'ha scritto Fayenz. A Fayenz non piace. Non a caso, nel 1992 il Brass Group di Trapani gli conferisce il premio «Una Vita per il Jazz». E 2006 il Blue Note di Milano gli ha riconosciuto il contributo decisivo alla diffusione del jazz in Italia . Mica facile divulgare il jazz qui da noi, nella patria del melodramma e del tormentone. A Fayenz riusciva bene, e se lo ricordano anche a Umbria Jazz dove è stato di casa seguendo, annusando, recensendo i fenomeni che sono passati da lì.

Padre di Claudia, giornalista Rai, è stato anche per quattro anni, dal 1998 al 2002, consulente del Ministero per i Beni e le attività culturali, portando la sua ironia, il senso splendido del ritmo e la conoscenza profonda del jazz anche dove i ritmi erano segnati più dalla burocrazia che dal contrabbasso. Un grande, insomma, simbolo di un tempo finito che difficilmente potrà tornare.

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