Spezzato l’asse Professore-Udc

Quella che nel pomeriggio sembrava una bruciante sconfitta, al tramonto è diventata qualcosa che ha il sapore di una vittoria. Quando Giuliano Amato ha incassato in silenzio il «fuoco amico» di Prodi e della sinistra radicale la sua Convenzione sembrava soffocare nella culla, poi, calate le ombre della sera, sono arrivate «l’attenzione» dei Ds, l’interesse di Forza Italia e An e a quel punto il Dottor Sottile ha sorriso e una sortita isolata, ora ha l’appoggio trasversale di forze che in Parlamento sono determinanti e può contare sulla moral suasion del Quirinale che da tempo invita al dialogo sulla riforma elettorale.
È ancora presto per parlare di svolta, ma certamente la strategia prodiana ne esce ridimensionata. Il gioco del presidente del Consiglio fino a ieri era chiarissimo: enfatizzare la presenza delle «due opposizioni» (cosa che ha fatto puntualmente durante il discorso di fine anno) e cercare l’accordo sulla legge elettorale con l’opposizione che ritiene più utile alla sua sopravvivenza politica: l’Udc.
È dal granaio centrista che Prodi conta di rifornirsi per proseguire la legislatura senza sbandamenti. E per questo Chiti apparecchia un tavolo dove si serve un sistema elettorale gradito all’Udc (che punta a una scomposizione dei poli e una ricomposizione al centro) e al Professore in cerca di un assetto in cui collocare il suo Partito democratico senza avere più il problema delle ali estreme. Uno scenario dove il bipolarismo finirebbe dritto in cantina, le alleanze senza più vincoli e gli schieramenti da votare in futuro sarebbero almeno quattro (Partito Democratico, Federazione delle Libertà, Grande Centro e Sinistra).
Il gioco prodiano - in pieno svolgimento - però ora deve fare i conti con la proposta di Amato che ha fatto emergere alla luce del sole i fiumi carsici dei dissensi nella maggioranza: da una parte c’è Prodi con l’appoggio della sinistra radicale, dall’altra i Ds e i referendari dell’Unione che «non vogliono rinascere democristiani». Il ragionamento di Amato non può prescindere dal dialogo con Silvio Berlusconi, mentre nella visione di Prodi Forza Italia deve essere indebolita e marginalizzata a favore dei centristi. Schema che non piace al presidente della Repubblica, il quale da settimane tesse una tela discreta - ma robusta - per riportare il governo sulla linea del confronto con l’opposizione e soprattutto il suo principale partito.
L’adesione dei Ds alla linea di Giuliano Amato, è un segnale anche per lo «sherpa» Vannino Chiti. Il ministro diessino in queste settimane è sembrato consegnarsi totalmente a Prodi, aprendo al sistema elettorale alla tedesca che più di ogni altro suscita l’interesse dei centristi. Non è un caso che Amato proprio contro quel sistema abbia avuto parole dure. E tantomeno è un gioco del fato che la segreteria Ds abbia inviato a Chiti un chiaro messaggio: attenzione, c’è il referendum che non si può lasciare al monopolio del centrodestra, la Quercia è sempre un grande partito, scardinare l’attuale legge elettorale per consegnare agli alleati (leggi alla voce Margherita) e agli avversari (leggi alla voce Udc) la possibilità di avere le mani libere e costruire alleanze variabili è un rischio troppo grosso.
Il domino innescato dal Dottor Sottile coinvolge anche il centrodestra: riporta Forza Italia al centro del gioco - come vuole la logica dei numeri e dei rapporti di forza in Parlamento - consolida l’alleanza tra il partito di Berlusconi e quello di Gianfranco Fini, leva a un partito come l’Udc un potere di interdizione sproporzionato rispetto al suo reale peso elettorale.
Quello di Amato è stato soltanto un acuto del sismografo che sta registrando i movimenti tellurici in corso nella maggioranza. I referendari dell’Unione sono in subbuglio, i Ds sono in piena fase pre-congressuale e l’idea di autoliquidarsi nel Partito Democratico non convince tutti (non è casuale il sì di Cesare Salvi alla proposta Amato), la Margherita (che tutta prodiana non è mai stata) ha i suoi problemi e cerca di allungare i tempi del trapasso ributtando la palla sul campo della Quercia, i cespugli dell’orto botanico ulivista hanno già detto niet.

Un quadro più che sufficiente per porsi una domanda: chi è l’interlocutore? E quante maggioranze sono in campo sulla legge elettorale? Quante sono visibili e quante sono occulte? C’è l’arma del referendum, ma ci sono anche molte botole parlamentari pronte ad aprirsi. Ecco perché forse l’idea di Amato non può essere accantonata subito: per giocare le carte serve un tavolo e deve essere alla luce del sole.

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