Il «principe bambino» ti aspetta alla fine della galerie de Glaces del castello di Versailles. Ha sette anni, monta un gigantesco cavallo bianco, la cui lunghissima criniera gli fa un po' da baldacchino, indossa un'uniforme da mamelucco, con tanto di scimitarra, copricapo rosso piumato e speroni dorati. Il dipinto che lo immortala, Ritratto equestre di Leopoldo de' Medici, è di Justus Sustermans, opera della prima metà del Seicento, e in quel profluvio di specchi, cristalli, statue e lampadari che lo circondano e lo incorniciano è la perfetta incarnazione delle ambizioni di questa gigantesca esposizione che non a caso ha per titolo Cheval en Majesté (fino al 3 novembre): più di trecento opere che raccontano l'epopea della razza equina e della civiltà equestre dal Rinascimento fino all'avvento, all'inizio del XX secolo, del cosiddetto «cavallo a vapore». Splendore, decadenza e tramonto, insomma.
Ancora nell'Ottocento, Ephrem Houel, autore dell'Histoire du cheval chez tous les peuples de la terre, poteva giustamente affermare che per sottolineare il favore di Dio nei confronti dell'essere umano. «Egli creò il cavallo. Il più veloce dei quadrupedi. Più pronto del vento, più impetuoso dei torrenti di montagna, inferiore soltanto all'uragano. Circondato di elementi che congiuravano alla sua rovina, di animali la cui forza e velocità gli erano superiori, sulla terra l'uomo sarebbe stato schiavo: il cavallo ne fece un re».
Assuefatti come siamo al mondo moderno facciamo fatica a ricordare che sino al trionfo dell'automobile, più o meno la Prima guerra mondiale, il cavallo fu l'unico mezzo di locomozione autonomo. Se la rivoluzione industriale ebbe uno strumento ausiliario indispensabile, fu proprio questo prezioso animale. Battelli a vapore e ferrovie potevano sì dominare ormai la scena, ma l'ultimo passaggio spettava ancora a lui, il cavallo da fatica, da lavoro, da trasporto in un'estrema e ultima corsa che aveva accompagnato millenni di storia.
La mostra li passa in rassegna nel momento in cui regalità e cavalleria sono diventati tutt'uno e hanno preso il posto di ciò che nelle società antiche erano gli ordini equestri e prima ancora i cavalli del mito, Pegaso, Xanto e Balio cantati da Omero nell'Iliade, i destrieri «sudanti sangue» dell'imperatore cinese Wu Ti... L'Europa cristiana fondò la sua gerarchia feudale sulla cavalleria e il re, per definizione, non era altro che il primo dei cavalieri... A metà del XVI secolo, Federico Gonzaga chiede a Giulio Romano di decorare le sale del suo Palazzo di Mantova con i ritratti maestosi dei più bei stalloni delle sue scuderie e lo stesso avverrà per Carlo XI di Svezia, ritratto altresì a cavallo da David Klocker Ehrenstrahl. Il punto finale di questa esaltazione-ossessione sarà il settecentesco principe Estheràzy che si vanterà di avere più cavalli nella sua scuderia che libri nella sua biblioteca.
L'irruzione delle armi da fuoco è il primo segnale d'allarme per quella che fino ad allora è stata la regina delle battaglie, la cavalleria lanciata alla carica contro la plebaglia dei picchieri e l'insidia degli arcieri. Le corti europee si danno da fare per recuperare dal passato quelli che erano i tornei e trasformarli in un passatempo di società, una simulazione della guerra in cui a brillare sono le bardature tanto dei cavalli quanto dei cavalieri. Nel Salon de la guerre, un quadro di Coysevox mostra una serie di profili da combattimento messi a raggiera intorno alla figura di Luigi XIV, ma è René Antoine Houasse a celebrare il Re Sole su un cavallo bianco, gualdrappa e briglie dorate, cappello piumato e un profluvio di sete. Da arte marziale a divertimento e piacere, l'equitazione è divenuta ormai un'arte di corte e insieme un gioco. Le manege royal di Pluvinell o l'Ecole de cavalerie di La Guériniére illustrano visivamente nell'esposizione quello che le scuole e le accademie equestri di Grisone, Fieschi, Pignatelli si incaricano di insegnare, per iscritto e con la pratica, a Napoli come a Ferrara: il maneggio e la disciplina, il cavallo che come un animale sapiente, ovvero ben addomesticato, risponde a ogni comando e calibra ogni movimento. Il risultato finale sono le fotografie del primo Novecento in cui amazzoni come Blanche Allarty e Thérése Renz guidano i loro destrieri al salto della corda...
A seconda delle sale che si scelgono, l'esposizione si snoda secondo un percorso tematico. In quelle centrali d'Afrique, c'è il cavallo da guerra, Horace Vernet, Delacroix, il giovane Rubens che riprende con un'incisione La battaglia d'Anghieri di Leonardo. Ma c'è spazio anche per i cavalli e la scienza, si tratti delle carcasse disegnate da Le Brun o delle incisioni che provengono dalla Ecole nationale de vétérinaire. Su tutti però si impone Leonardo con un disegno che è l'equivalente equino dell'Uomo di Vitruvio, proveniente dalla collezione reale d'Inghilterra, così come Dresda, Stoccolma, Vienna Torino si alternano nel fare di questa esposizione, grazie ai loro prestiti, qualcosa di unico.
Negli appartamenti de la Dauphine, ancora Rubens giganteggia con il suo Ritratto di Ferdinando d'Austria alla battaglia di Nortflingen, ma non gli è da meno Géricault con i suoi ritratti equestri e i suoi corazzieri lanciati al galoppo su un paesaggio tempestoso.
Nella prima metà dell'Ottocento, la Francia borghese di Ligi Filippo decide di rifare il verso alla dinastia degli Hannover che un secolo prima l'aveva bastonata nella guerra delle colonie. Volendo dimenticare i David, i Girodet e i Gros dell'Impero, cerca di rivaleggiare con la Londra ippica degli Stubbs: gentiluomini ippodromi, partite di caccia... Monet, Degas, Lautrec dipingono le corse di Longchamps, la Belle Epoque che in qualche modo chiude l'età della Maestosità equestre e suona, con la Grande guerra, il de profundis dell'arma per eccellenza, la cavalleria, appunto.
Reggimenti celebri e celebrati immolano cavalcature ed equipaggi in cariche suicide, patetiche quanto eroiche azioni di pattugliamento e di raccordo, anacronistiche parate. Da allora in poi il mondo non correrà più sulle ali di Pegaso: ha fatto il suo ingesso la modernità.
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