nostro inviato al Nurburgring
Più che fermarsi, lo fermiamo. Più che affiancarlo, lo circondiamo. Lui è meno sbrigativo del solito, lui ha lo sguardo duro, durissimo di sempre. Però meno sfuggente. Si appoggia stancamente alla ringhiera traballante di una hospitality del paddock e s'arrende e ascolta mentre con l'indice si tocca l'orecchio che non ha più, mentre con due dita sfiora il sopracciglio che non ha più. Niki Lauda, le sue ferite lontane una vita e però presenti sul viso distrutto dal fuoco, non è solo il presidente della Mercedes F1. Niki Lauda è la F1. Niki è un manifesto vivente e violentato nel viso che racconta senza parole che cos'era la F1 e che cosa può diventare non appena il Dio dei motori si distrae e lascia i piloti soli con se stessi. Niki, l'altra sera, qui al Nurburgring, in occasione del Gp di Germania, qui dove nel '76, pista vecchia però, rischiò di morire, ha assistito alla proiezione in anteprima e per pochi eletti di Rush, il film del premio oscar Ron Howard che racconta di lui, di James Hunt, di un anno tragicamente affascinante e maledetto.
E quindi, sensazioni?
«Quindi incredibile».
Due parole in più?
«Quindi tutti i presenti l'altra sera l'hanno giudicato così: incredibile».
Con lei c'erano i suoi piloti, Nico Rosberg e Lewis Hamilton. C'era anche il patron del Circus, Bernie Ecclestone.
«Nico e Lewis erano entusiasti. Non pensavano proprio si potessero rendere così bene le emozioni e le sensazioni di un pilota. Ma in generale tutti erano soddisfatti dal realismo emerso. Io, personalmente, mai visto qualcosa di così reale sul nostro sport».
Per la verità non c'era tutta questa unanimità. A parte Ecclestone, «ottimo film» che però ancora non si dà pace di non averci guadagnato visto che il 1976, l'anno raccontato in Rush, non è coperto dai suoi diritti, tra gli ospiti c'era chi ha conosciuto Hunt (è morto nel '93, ndr) e l'ha trovato troppo ingentilito rispetto alla sua coriacea e affascinante schiettezza da playboy e figlio di .
Niki, ma a James Hunt sarebbe piaciuto un film così?
«Eccome. Ci sono grandi momenti che lo riguardano. E mi è dispiaciuto non fosse qui con me a guardare la nostra storia. Credo si sarebbe parecchio divertito».
Però quella F1 non c'entra con questa di oggi.
«Ma molti appassionati che sanno poco di quegli anni, che nei Settanta neppure erano nati, avevano bisogno di un film che gli facesse capire com'era quell'epoca delle corse. E l'opera di Ron Howard con la sceneggiatura di Peter Morgan (fra le altre, The Queen, ndr) riescono in questo: a spiegare ai tifosi di oggi ciò che facevamo allora
e magari a farglielo apprezzare».
A proposito di oggi e di ieri: paragonati a voi, i piloti attuali sembrano impiegati del rischio
voi eravate invece cavalieri del rischio
.
«Lei ha mai fatto un giro sulla vecchia pista del Nurburgring?»
Sì, nel 2006, sulla safety car con Bernd Maylander
Per raccontare proprio i trent'anni dal suo incidente.
«Ecco. Allora se confronta quella pista (era ed è lunga 23 km, stretta, con saliscendi ovunque) e quella su cui si corre adesso (8 km, semplice e con ampie vie di fuga), sa bene cosa intenda... Ecco. Quelli erano i rischi che dovevamo affrontare noi, questi sono invece i pericoli con cui devono convivere i piloti di adesso. Questa è la F1 di oggi. Uno sport dove ci si può anche toccare, fare a ruotate, combinare quel che si vuole in pista e non succede praticamente nulla».
Allora invece si moriva.
«Di più. Era proprio l'approccio a questo sport ad essere diverso. Anche oggi può accadere l'imprevisto in pista, ma noi convivevamo ogni Gp con l'eventualità di farci male e ammazzarci. Noi salivamo in macchina con quest'idea ben chiara in testa. I piloti di oggi no. Con i progressi fatti dalla sicurezza non c'è più bisogno di correre con questo chiodo in testa. E allora cambia tutto.
Sincero: ma le piacerebbe correre adesso?
«Eccome. Primo: avrei guadagnato dieci volte di più. Secondo
avrei ancora il mio orecchio».
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