D'accordo, Carlo Tavecchio è stato quello dell'Opti Pobà. D'accordo, Carlo Tavecchio è stato quello che «Dobbiamo imparare che chapeau da chi? Che? Chi? Chapeau lo dico io». D'accordo Carlo Tavecchio è stato quello che: «La Christillin è nel consiglio Fifa grazie agli gnomi dietro le scrivanie italiche». D'accordo su tutto però Carlo Tavecchio è stato anche quello che dopo il patetico, vergognoso, umiliante pareggio contro la Svezia e conseguente mancata qualificazione al mondiale, Russia 2018 per la precisione, almeno ebbe la dignità di presentare le dimissioni, doverose, figlie del suo essere democristiano fino alla fine, astuto e, assieme, consapevole. Altri non hanno usato lo stesso metodo, scaricando altrove responsabilità, su Tavecchio, invece, si scatenarono tutti i bar del Paese, quelli frequentati dalla bella gente ma anche le peggiori bettole affollate di ceffi improbabili.
Questo lombardo, piccolo di statura ma dal cervello veloce, il classico cumènda di provincia, era bersaglio facile di satire e ironie, del resto lui aveva provveduto offrendo palle gol fantastiche, con quel linguaggio nazionalpopolare, immediato al comprendonio ma respinto dall'intellighenzia (!?) dei potenti. Quella frase stupida, sulle banane e Opti Pobà, gli costò la faccia anche a livello internazionale, all'accusa di razzismo replicò spiegando di non avere offeso davvero nessuno perché lui, per anni, aveva portato in Togo, insieme con la moglie, farmaci, dispositivi medici e materiale scolastico, quaderni, lavagne, grembiuli. In fondo quelle parole idiote avrebbero dovuto significare, per lui, la presenza eccessiva di stranieri, ecché stranieri, nel nostro football, dunque l'eliminazione della nazionale di Ventura, sciagurato pure lui, ne era il risultato manifesto. Proprio sul cittì infierì ai massimi, dicendo che il ligure era stato scelto per ultimo e nemmeno da lui proprio, perché erano altri i candidati, Capello e Lippi i primi della lista. Ma fu anche lui ad agganciare Antonio Conte e furono mesi e anni belli, di entusiasmo svanito poi nel rifiuto del leccese a proseguire, dopo l'europeo e i calci di rigore contro la Germania, il lavoro per il mondiale russo. Altre facezie o gaffe furono da lui riservate al calcio femminile, bastava un respiro e Tavecchio diventava l'orso del tiro a segno, l'attore preferito da Striscia e affini; esempio, la magra degli azzurri contro la Nuova Zelanda? Colpa del freddo e della corsa notturna degli atleti per la minzione d'onore. Qualche guaio lo aveva passato fuori dai campi di calcio, storie di natura fiscale, di assicurazioni varie, dei campi in superficie sintetica da lui gestiti, i campi vicende poi finite con assoluzione.
Detto che era nato democristiano, a Ponte Lambro, il ragioniere Carlo Tavecchio, prima di occuparsi di pallone si era dato ai conti, quelli di dirigente della Banca di Credito Cooperativo dell'Alta Brianza, il che lo portò a candidarsi per la politica locale e per quattro mandati fu eletto sindaco, liste della Diccì, a Ponte Lambro e, preso dall'euforia, fondò la Pontelambrese e la squadra giocò su un campo in erba sintetica, da qui sussurri e molestie di regime. Seguì una carriera nelle istituzioni calcistiche fino alla presidenza in via Allegri, Roma. Ribadì l'arte politica, bonificando l'immagine, stando vicino alla presidenza Uefa, prima riverendo Michel Platini e chiedendone l'intercessione, poi abbandonandolo quando il francese venne lordato dal ventilatore Fifa-Uefa, quindi favorendo l'elezione dello sloveno Ceferin, così da ottenere un riconoscimento almeno fuori dai giochi del campo. Per ultimo si era riaffacciato all'agone, qualche mormorio riferì che, tradendo la sua antica e robusta fede interista, si era avvicinato alla trattativa di acquisto del Milan, non da azionista di riferimento ovviamente, per divenire presidente del comitato regionale lombardo della lega nazionale dilettanti, un passo indietro ma per restare davanti, fino alle settimane scorse quando il virus lo sorprese e lo colpì.
Avrebbe compiuto ottant'anni il prossimo 13 di luglio. Oggi mille e più di mille parole di cordoglio e di affetto, anche e soprattutto da chi lo insultò da vivo ma sono pronti a indossare la faccia di circostanza. Non faccio cognomi, basta osservare, leggere e capire.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.