In bicicletta si muore troppo facilmente e troppo spesso. Talvolta si muore in corsa (come il belga Antoine Demoitié, 25 anni, investito da una moto un anno fa alla Gand-Wevelgem, ndr), ma soprattutto sulle strade di allenamento.
La morte di Michele Scarponi ripropone in tutta la sua gravità e complessità il problema della sicurezza sulle strade. Gianni Bugno, ex campione del pedale, e oggi - oltre ad essere impegnato come elicotterista - presidente mondiale dei corridori, non ha problemi a gridare l'allarme.
«La misura è colma. Così non si può più andare avanti. La morte di Michele non deve essere vana dice il due volte iridato, vincitore nel '90 anche di un Giro -. Oggi il ciclismo piange la morte di un ragazzo eccezionale, di un serio professionista, di un marito e un padre affettuoso e scrupoloso, attaccato alla vita e ai propri affetti come pochi, morto per colpa anche di leggi che non tutelano chi va in bicicletta. Quello che mi fa rabbia è che nel nostro Paese le biciclette non hanno considerazione. Io non ho problemi a dirvi che in bicicletta non ci vado più, perché è troppo pericoloso e quando incontro genitori che mi dicono non posso mandare sulle strade mio figlio, io non ho più la forza di dire loro che hanno torto».
Lei di recente ha partecipato a Palazzo Montecitorio ad un progetto chiamato Salvaciclisti: di cosa si tratta?
«È una proposta di legge, ed è solo un importante punto di partenza. I numeri degli incidenti che coinvolgono i ciclisti sono agghiaccianti. Nel 2015 sono morti 252 ciclisti e oltre 16.000 sono stati i feriti. Questa è una proposta di legge ed è quindi un punto di partenza per una tutela più compiuta di quanti utilizzano la bicicletta: non si tratta solo di una legge a tutela dei ciclisti agonisti ma, anche e soprattutto, in favore di tutti quegli utenti che usano la bicicletta per i propri spostamenti quotidiani».
Crede che questa legge possa risolvere il problema?
«Permetterebbe all'Italia di adeguarsi a quanto già previsto dal rispettivo Codice della Strada in altri Paesi Europei come Francia e Spagna. Oggi più che mai è necessario far crescere nel Paese la sensibilità, l'attenzione e le condizioni per promuovere la cultura di rispetto nei confronti dei ciclisti».
Piste ciclabili: lei è molto critico.
«Certo, le piste ciclabili non risolvono il problema, ma parte di esso. Vanno bene per le famiglie, per chi va a fare un giretto con i propri bimbi. Ma per un corridore che pratica il ciclismo agonistico ad un certo livello, occorre la strada. Noi vogliamo che la bicicletta venga equiparata ad un motorino. Che differenza c'è tra un cinquantino e un ciclista? Nessuno, il problema è equipararli. Lo sa che se a Filottrano ci fosse stata una pista ciclabile, Michele oltre ad essere morto avrebbe anche torto? Perché se ci fosse stata una ciclabile il corridore avrebbe avuto il dovere di pedalare lì. Ma questo non è possibile, perché un ciclista che questo sport lo fa per professione, ha bisogno di andare ad una certa velocità, nel rispetto del codice, ma con una certa frequenza, come una moto: né più e né meno».
Quale sarà il prossimo passo?
«Come ha detto il senatore Michelino Davico, che per questa proposta di legge si è battuto, il prossimo passo per la legge salvaciclisti, sarà quello di far convergere l'impegno di tutte le parti sulla più rapida
calendarizzazione della proposta in Commissione Trasporti e Lavori Pubblici del Senato, perché se con questa norma dovessimo riuscire a salvare anche una sola di quelle 252 vite, il nostro impegno sarebbe stato premiato».
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