A sentire certe trasmissioni, e ad ascoltare alcuni opinionisti, il calcio sembra essersi trasformato in una scienza. Expected goals, heat maps, lavagne tattiche: il (fu) gioco più bello del mondo ridotto a materia da addetti al settore. Sempre più analisti snocciolano ormai statistiche, anche avanzate, individuali e collettive: i già citati Expected Goals (xG) ad esempio misurano le probabilità che ha un tiro di trasformarsi in rete, il tutto grazie ad un algoritmo che calcola la percentuale di realizzazione da 0% a 100% considerate le variabili (angolo di tiro, distanza dalla porta etc.).
Un modello, neanche a dirlo, che viene da oltreoceano: negli Stati Uniti la sabermetrica (la S.A.B.R. è la società di ricerca del baseball americano) ha rivoluzionato il baseball e aspira alla «conoscenza oggettiva di questo sport». Ma il paradigma si è presto trasferito ad altre discipline, come l'hockey e il basket, per finire con il calcio: qui, però, le variabili sono molte di più e i calcoli ben più complicati.
Anni fa Massimiliano Allegri, discutendo con la stampa sportiva accusata di essere troppo scientifica «ormai siete tutti teorici» , lo spiegò chiaramente: «Il calcio non è solo teoria, ma soprattutto pratica. Qui sembra che in una partita di calcio bisogna mandare i missili sulla luna () Il calcio è come il Monopoli: nel Monopoli c'è un pacchettino di imprevisti, nel calcio un pacco di imprevisti». Come dargli torto.
La regola è l'applicazione della regola, avrebbe detto Wittgenstein: è la pratica che fa la teoria, non il contrario. Certamente gli allenatori sono chiamati a studiare piani partita efficaci, a leggere le fasi dell'incontro, a preparare durante la settimana le ipotetiche situazioni della domenica; ma poi in campo scendono gli attori principali, i calciatori.
Così nel suo libro «È molto semplice» (Sperling & Kupfer, 2019), Max rilancia: «Se ci avessero insegnato di meno, avremmo imparato di più». Musica per le nostre orecchie, un inno libertario in un calcio ormai tutto uguale, che troppo spesso produce «polli d'allevamento e non giocatori pensanti». È questa la didattica in presenza del calcio di strada che forma, con la pratica, i migliori talenti in circolazione; una scuola di vita che sviluppa talento, tecnica, lettura, gerarchie (oggi parola inservibile nel mondo dell'omologazione, dell'uno vale uno a ribasso).
Insomma, ormai ci stiamo accontentando di un calcio che elegge a suoi luoghi gli studi e non più le strade (le quali, da ben prima della pandemia, si sono svuotate di ragazzini e Super Santos).
Per questo il linguaggio del pallone deve restare autenticamente popolare: per rendere giustizia ad un gioco che rappresenta un inimitabile fenomeno sociale, citando Simon Kuper, non certo una materia da laureati in statistica avanzata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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