«Tutti abbiamo le ali e siamo in grado di volare». Su questo concetto che le giornate alle Paralimpiadi di Tokyo si sono susseguite e hanno avuto un forte riverbero in quello che è accaduto a New York. Nella 'Grande Mela' tante storie hanno suscitato l'attenzione degli appassionati di tennis: l'impresa di Emma Raducanu, la 18enne nata a Toronto da padre rumeno e madre cinese e vissuta da quando aveva due anni in Gran Bretagna, che vince lo Slam dalle qualificazioni da n.150 del mondo senza perdere un set nel suo percorso magico, e la prima firma del russo Daniil Medvedev capace di battere chi sembrava invincibile, Novak Djokovic, e impedendogli di realizzare il sogno del Grande Slam.
Match tra sogni e realtà sublimati anche da chi ha come compagna di viaggio una sedia a rotelle. Si parla di Dylan Alcott e di Diede de Groot. I due campioni di tennis in carrozzina hanno realizzato l'impresa che solo Steffi Graf a livello assoluto aveva compiuto: vincere i quattro Major e l'oro olimpico nello stesso anno. Missione compiuta per l'australiano e l'olandese. Dylan, costretto dalla nascita a una condizione di paraplegia per un tumore al midollo spinale, ha trovato nel basket (un oro e un argento paralimpici) e nel tennis il modo in cui esprimere se stesso. Australian Open (settimo titolo consecutivo), Roland Garros (terzo titolo consecutivo), Wimbledon (secondo successo consecutivo) e US Open (terza affermazione) con l'oro paralimpico a Tokyo nel singolare hanno chiuso il cerchio, diventando il primo uomo su sedia a rotelle a potersi fregiare di ciò. Golden Slam completato anche dalla 24enne neerlandese, in qualità di n.1 del mondo in singolare e in doppio, prima donna a raggiungere questo traguardo dopo la Graf, aggiudicandosi il terzo titolo a Melbourne, il secondo a Parigi, il terzo a Londra e il quarto a New York.
E così, nell'atto conclusivo in cui le lacrime hanno rigato il volto di Djokovic per il bersaglio mancato ma l'amore del pubblico conquistato, Dylan e Diede
hanno spiccato il volo come quella ragazzina giapponese di 13 anni che nello stadio olimpico di Tokyo ha gridato al mondo: «We have wings» («Noi abbiamo le ali»). Già, le ali di chi ha saputo darsi sempre una seconda chance.
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