"Altro che difensivisti. Noi dell'82 precursori del calcio moderno"

L'azzurro a 40 anni dal Mundial: "Cinque dietro in finale, che lezione. E l'abbraccio con Zoff..."

"Altro che difensivisti. Noi dell'82 precursori del calcio moderno"

Fulvio Collovati, sono passati 40 anni ma quel Mondiale è sempre negli occhi di tutti noi che l'abbiamo vissuto. Anzi, per la nostra generazione è addirittura più indimenticabile di quello del 2006. Se le dico Mundial, qual è la prima immagine che le viene in mente?

«Dire la coppa è troppo scontato. Potrei dire tante immagini che abbiamo rivisto centinaia di volte in tutti questi anni, Pertini in tribuna che fa segno tre con le dita dopo il gol di Altobelli, Zoff che solleva il trofeo e finisce su un francobollo, il giro del campo con Bearzot, la partita a carte col Presidente sull'aereo e noi tutti intorno a guardare, la cena al Quirinale... Ma io ho in mente una cosa più mia, più privata, l'abbraccio tra me e Zoff al fischio finale. Ero il difensore più vicino a lui in quel momento e fu spontaneo andare ad abbracciare lui: un abbraccio che non dimenticherò mai».

Tutti quelli che hanno potuto vivere quel Mondiale ricordano Italia-Brasile come la partita del secolo: noi che abbiamo qualche anno in più ci ricordiamo anche di un'altra partita del secolo, Italia-Germania 4-3 del '70. Che differenza c'è?

«Beh per me fondamentale, perché una ovviamente l'ho vissuta in campo e l'altra davanti alla tv a 12 anni... Quella dell'Azteca fu una partita leggendaria, però forse rimase unica in quel Mondiale, perché poi l'epilogo fu diverso. Il Brasile del '70 ci fece soffrire moltissimo, mentre quello dell'82 l'abbiamo fatto soffrire noi. La nostra partita del secolo, invece, fece parte di un crescendo di partite incredibili».

Dall'Argentina alla Germania, passando per Brasile e Polonia, avete battuto tutte le squadre più forti di quel Mondiale, a parte la Francia.

«Infatti. E se la partita con il Brasile ci diede la certezza di poter vincere quel Mondiale, la partita con l'Argentina è stata quella della svolta, la partita della fiducia. Dopo quella vittoria contro i campioni del mondo, contro Maradona, Ardiles, Passarella, ci siamo resi conto che avremmo potuto affrontare a viso aperto anche il Brasile. E così è stato. Tanto che quando ci trovammo di fronte la Polonia in semifinale ci sembrò tutto facile, eppure quella era una grande squadra, la Polonia di Lato e di Boniek che alla fine arrivò terza».

E poi la finale, Italia-Germania, che a posteriori sembra persino passare in secondo piano, spazzata via dalla mitologia di Italia-Brasile...

«Sì perché nell'immaginario la grande impresa resta quella là, perché dall'altra parte c'era una serie incredibile di fenomeni: Zico, Falcao, Socrates, Cerezo, Junior che per trovare posto doveva giocare terzino. Un po' come se noi avessimo dovuto trovare un posto da terzino a un grande centrocampista come Tardelli. Credo che, tolto Pelè, quel Brasile sia stato addirittura superiore a quello del '70, per qualità dei singoli giocatori».

Ma la finale fu tutt'altro che semplice. Anzi fu tutta in salita, dopo il rigore sbagliato da Cabrini.

«Sì nel primo tempo ci fu un grande equilibrio e il rigore fallito fu una bastonata dal punto di vista psicologico. Ma lì entrò in scena Bearzot che nell'intervallo tranquillizzò Cabrini e ricaricò tutta la squadra, ricordandoci che i tedeschi erano reduci da una semifinale faticosissima con la Francia. State tranquilli che la Germania scoppierà, ci disse. E infatti loro nel secondo tempo non tennero più il nostro ritmo. Eppure anche quella era una squadra straordinaria: Breitrner, Stielike, Littbarski, Rummenigge, Briegel, Schumacher...».

Germania che voi affrontaste praticamente con cinque difensori, perché con lei giocarono Bergomi, Cabrini, Gentile e Scirea.

«Sì e se avessimo perso chissà cosa avrebbero detto i nostri detrattori, perché c'era tanta gente che non ci voleva bene, accusavano Bearzot di difensivismo. E invece quella squadra diede una lezione di calcio moderno, di intercambiabilità dei ruoli: il gol di Tardelli arrivò dopo uno scambio in area avversaria tra due difensori come Bergomi e Scirea, scesi ad attaccare. Cose che si vedono raramente anche adesso».

Ha detto che è facile pensare alla coppa come prima immagine del Mondiale. E in effetti quella coppa, creata da Silvio Gazzaniga, è proprio particolare. E«il Giornale» ha promosso una petizione per raccogliere le firme degli azzurri e dei tifosi per l'artista lombardo

«Sì, perché è diversa da tutte le altre.

Ho visto anche l'ultima creata per la sfida tra Italia e Argentina, ma niente di originale. Anche quelle più prestigiose sono delle vere coppe. Questa invece sembra un pezzo d'arte. Più che una coppa è una scultura. E io me la riguardo tutti i giorni nel poster che ho qui in ufficio. Ci sono anche io».

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