Gli anni ruggenti dell’Udinese di Zac: un’utilitaria che si scoprì Ferrari

Quel 3-4-3 spiazzante, Bierhoff che spaccava le porte e molti altri ingredienti dietro un terzo posto prodigioso

Alberto Zaccheroni e Oliver Bierhoff: un mix esplosivo
Alberto Zaccheroni e Oliver Bierhoff: un mix esplosivo
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Nella primavera del 1995 Giampaolo Pozzo passeggia nervosamente avanti e indietro, percorrendo la distanza che lo separa dalla scrivania alla finestra dell’ufficio. Poi, di scatto, inforca gli occhiali e compone il numero del suo allenatore, Giovanni Galeone: “Ascolta, sono stufo di vedere l’Udinese che fa su e giù. Come hai detto che si chiama quel centravanti tedesco?”.

Il nome è Oliver, il cognome Bierhoff. Il consiglio non è buono, di più. Solo che Galeone, carattere esondante e zero attitudine al compromesso, non se lo godrà per nulla. Gaucci bussa forte alla porta e lui, che non aveva trovato la quadra economica con Pozzo, saluta il Friuli. Giampaolo però non si scompone e annuncia in fretta il rimpiazzo: tal Alberto Zaccheroni da Meldola. Uno che ha fatto un’ottima annata a Cosenza, ma comunque la Serie A non l’ha mai annusata. La piazza, perplessa, rumoreggia.

Sprint in avanti. Stagione 1997/98. Al centro dell’attacco c’è ancora Bierhoff e in panca siede sempre Zac. La Dea del calciomercato rimpingua una formazione già discretamente competitiva con i colpi Jorgensen e Bachini, cui si aggiungono il metronomo Walem e la promessa infranta Fernandes. Qui alloggia la migliore stagione di sempre dell’Udinese. A fine anno la classifica reciterà un verdetto inappellabile: terza, dietro soltanto a Juve e Inter.

Ma com’è successo? Come ha fatto questo groviglio multietnico allenato da un placido romagnolo a compiere un atto così insolente? La risposta ha genitori molteplici. La squadra di Zac è una disinvolta utilitaria che, in corsa, scopre di aver montato a bordo un motore Ferrari. Il primo tassello risiede certamente in quel modulo irriverente: il 3-4-3 è un sentimento atipico e inesplorato per quella serie A ed attira critiche puntute fin dalla sua primissima apparizione, qualche anno prima. Il fatto è che Alberto da Meldola se ne infischia dei dogmi: la ali restino alte - indica sicuro - anche in fase di non possesso. A ripiegare devono essere i mediani e, comunque, il primo recupero si fa con il pressing. Il fatto che rifiuti categoricamente l’idea di trasformare la difesa a cinque lo espone al pubblico ludibrio: “sarà una mattanza”, ciarlano i meno avveduti.

Invece l’Udinese viaggia a ritmo sostenuto, prendendosi qualche rischio - è vero - ma rimanendo sempre in prodigioso equilibrio. Lo schema è ricorrente, ma gli avversari comunque non riescono a decodificarlo. I centrali esterni hanno due soluzioni: aprire subito sulle ali basse o cercare gli esterni alti d’attacco. Nel secondo caso arriva la spizzata dei vari Poggi o Amoroso che apre alle dirompenti incursioni di Helveg e Bachini, oppure al brutale cinismo di Bierhoff. Perché se il giochino funziona, va detto, è anche in larga parte per via degli interpreti del meccanismo. A fine stagione la punta tedesca, per dire, vincerà la classifica cannonieri con 27 centri, piazzando i gomiti sul tavolo in faccia a gente come Batistuta, Ronaldo e Baggio.

Eppure all’esordio il motore tossicchia. La Fiorentina espugna il Friuli, poi il complessino di Zac si riprende affondando Lecce e Milan. Quando finalmente sembra che sia possibile scalare le marce, il Parma la seppellisce con uno squassante 4-0. Due giornate più tardi i bianconeri ne prendono quattro anche dalla Juve. I dubbi si addensano. Non diresti proprio che questa squadra abbia i numeri per fare quel che sta per fare. Solo che, appunto, l’Udinese non sa di non potere e, nel dubbio, riprende a macinare risultati. Marcio Amoroso, originariamente snobbato dal mister, ci mette del suo nonostante un grave infortunio. Poggi è inamidato dalla grazia pallonara. Oliver spacca le porte.

Al loro fianco, in un collaudato ingranaggio, svaporano interpreti solidi (Helveg e Bachini), geniali (Walem e Jorgensen), una retroguardia ed un portiere, Turci, affidabili.

Un’ammirevole sintesi tecnica, tattica e spirituale. Uno di quegli incastri orbitali che probabilmente non torneranno più e forse, anche per questo, spolverarli riscalda sentimenti mai archiviati.

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