Immaginate una mamma lavoratrice che si alza presto la mattina, prepara la colazione, accompagna il figlio a scuola e poi prende la borsa per andare in ufficio. Solo che lì dentro c'è un fucile.
L'ufficio. Ieri era a Tokyo, a migliaia di chilometri da quel ragazzo che ormai è abituato a vivere con la sua personalissima Calamity Jane. Diana Bacosi lo ha sempre detto, non ce la farebbe senza di lui, Mattia, 12 anni: «È il mio primo tifoso. E per fortuna con l'appoggio dei miei genitori riesco a gareggiare serena».
Insomma si spara. Ancora una volta. Cinque anni fa lei e l'amica Chiara Cainero si giocarono l'oro nello skeet. Una strana danza con il fucile da una postazione all'altra in attesa che esca un piattello da centrare. Si comincia inseguendo la passione del padre cacciatore, si finisce a mirare dischetti arancioni. Dà più soddisfazione.
C'è silenzio nel frastuono giapponese costruito ad arte. Stavolta Chiara si è fermata prima, sono rimaste in sei. Diana invece è lì: cacciatrice d'oro in una gara ad eliminazione. Nel senso che l'obbiettivo resta sempre il piattello, ma dopo i primi 20 l'ultima in classifica lascia. E poi succede lo stesso dopo ogni 10. Fino a quando ne restano due.
Con lei c'è l'americana Amber English: sono pari, mancano 10 colpi. Il fucile in mano, i colpi in canna, sole tra i tormenti mentre si decide da quale torretta uscirà il destino. Trattieni il fiato, come tutti. E poi: pum pum, quasi chiudi gli occhi. In una finale olimpica ti passano nella testa sacrifici, allenamenti, il tempo che hai lasciato tuo figlio a casa mentre andavi a inseguire il tuo sogno. Mentre chissà lui come lo spiega agli amici cosa fa la mamma. «Lavora. Sparando».
Pum, Pum, si accende una luce rossa. Poi ancora un'altra. La English invece si distrae solo all'ultimo colpo, quando sa di avere già vinto. «Pazienza, ho dato tutto, sono felice» dirà alla fine con l'argento al collo la ragazza col fucile, 38 anni, Città di Pieve, Perugia, atleta, mamma lavoratrice. Celebrata in diretta Tv anche dal generale Figliuolo: «Brava. Viva l'Italia!». Le ridono gli occhi, mentre abbraccia l'altro uomo della sua vita, il Ct Andrea Benelli, e poi l'amica di sempre Cainero, che ha raggiunto nel numero e colore di medaglie ai Giochi. La mascherina non contiene la gioia: «Sono un po' dispiaciuta di non aver replicato Rio, ma il nostro sport è una continua guerra interiore con noi stessi e con le nostre emozioni».
Appunto. È la vita di ogni giorno, quella che ti porta su e giù. E l'importante è trovarti nel momento giusto della curva, come quella volta - 3 anni fa in cui lei e Mattia rischiarono in un frontale mentre lo portava a scuola. Sono ancora qui, come dopo la pandemia: «Mi sono a lungo barricata in casa, senza più voglia di uscire. Vivevo nella paura. È stato difficile riprendere, mi hanno raccolto col cucchiaino dopo un anno terribile sia nel privato che nello sport. Ma se la sofferenza serve a questo, allora ben venga. Questo argento è per tutti gli italiani».
È il momento di tornare a casa, adesso. L'ufficio, per ora, chiude. Il fucile torna nella borsa. «La prima cosa che farò è abbracciare mio figlio, i miei cari, gli amici.
E mangerò un bel piatto di pasta. Conoscendo il nostro carattere, abbiamo sofferto più di altri il periodo del Covid. Ma abbiamo saputo reagire». Succede d'altronde ogni mattina e ad ogni mamma che lavora, quando suona la sveglia.
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