È stato l'uomo dei conti della Juve per 12 anni. E i conti sono tornati. Antonio Giraudo, scelto da Umberto Agnelli come amministratore delegato del club nel 1994, è stato tra i fautori dei successi sportivi ed economici della società. Si deve alla sua intuizione (l'impianto di proprietà sul modello inglese) la genesi dello Stadium. E fu lui a portare il titolo Juventus a Piazza Affari e a firmare un redditizio accordo di sponsorizzazione.
Insieme a Moggi e Bettega ha composto la «Triade» bianconera. Smembrata dallo scandalo Calciopoli nel 2006, uno tsunami che ha travolto il calcio italiano e ha portato anche alla retrocessione in B della Juve. Da allora Giraudo ha chiuso col mondo del calcio, trasferendo la residenza a Londra per continuare a svolgere l'attività di immobiliarista, e lo ha vissuto con distacco, pur mantenendo rapporti con ex giocatori e collaboratori storici.
La sua battaglia legale è ormai «maggiorenne» ed è passata dai vari gradi di giudizio sportivo e penale. I cinque anni di squalifica furono appesantiti dalla radiazione confermata dalla Corte Figc nel luglio 2011 e poi dall'Alta Corte di Giustizia del Coni nove mesi dopo. A livello giudiziario si è arrivati nel marzo 2015 all' annullamento della condanna in appello di 20 mesi solo per l'«associazione a delinquere» per sopraggiunta prescrizione. E poi le assoluzioni nei processi sull'abuso di farmaci pericolosi per la salute da parte del club bianconero, sul presunto doping amministrativo della società e sul suo presunto concorso nella bancarotta fraudolenta di una società che per alcuni anni gestì i diritti tv della Juventus.
Dal 2006 una battaglia condotta in silenzio - mai un'intervista o un'uscita pubblica se non quella nell'ottobre scorso a Napoli per dare l'ultimo saluto all'amico Ventrone, ex preparatore atletico bianconero -, con quella radiazione a livello sportivo unica macchia che Giraudo non è riuscito a cancellare. «La sua tenacia è incredibile persino per noi avvocati abituati alle cause, ha letto sempre tutti i documenti e gli atti con grande attenzione», così Amedeo Rosboch, uno dei legali dello studio torinese che stanno seguendo il suo percorso. Prima il ricorso al tribunale del lavoro di Torino e l'arrivo dell'iter fino in Cassazione, che ha rispedito la questione al Tar del Lazio, riunito domani in un'apposita «sezione specializzata ad hoc». Il pool dei legali, tra i quali l'avvocato Dupont, uno dei più grandi esperti di diritto europeo a cui si deve la «sentenza Bosman», chiede di «vedere accertata la responsabilità dello Stato italiano per i gravissimi danni e pregiudizi subiti».
Con la radiazione, la giustizia sportiva priva un individuo della possibilità di esercitare la propria professione, quindi un diritto personale e violando il principio generale della «tutela giurisdizionale effettiva», garantito dal diritto dell'Unione Europea. « La giustizia sportiva per come è costruita da noi è un sistema chiuso a sé - spiega l'avvocato Rosboch -. Una persona ha il titolo di andare in ultima istanza al Tar non per chiedere un annullamento della sentenza ma solo per una tutela risarcitoria. La condanna sportiva rimane e se sei radiato rimani radiato, il problema è che non hai la possibilità di ricorrere a un giudice». Così prevede la legge 280/2003 che disciplina la giustizia sportiva, una legge che ha già resistito a un pronunciamento della Corte Costituzionale, ma la speranza dei legali di Giraudo è che il Tar si rivolga alla Corte di Giustizia Europea. «E se quest'ultima dovesse darci ragione, lo Stato italiano dovrebbe rivedere questa legge. Dal 2011, quando Giraudo si rivolse al tribunale di Torino, a oggi il diritto europeo si è evoluto. E lo sport, il calcio in particolare, non è più un circolo di gentiluomini accomunati dalla stessa passione, ma è un'industria che produce ricchezza per miliardi di euro», ha concluso Rosboch.
In bilico dunque resta non solo la questione Giraudo e Calciopoli ma quella del «giusto processo» in ambito sportivo e rischia di scuotere alcuni pilastri come la clausola compromissoria. Giraudo aveva già ottenuto un primo parziale successo nel settembre 2021, quando la Corte europea dei diritti dell'uomo ha considerato ammissibile (senza entrare nel merito) il suo ricorso riconoscendogli la violazione dei diritti della difesa, a causa dei soli sette giorni concessi per leggere le oltre 7000 pagine di atti prodotti nel corso del procedimento sportivo, e la ragionevole durata del processo, trascinatosi per 13 anni.
«Ci sono poi decine di sentenze della Corte Ue sul tema, l'ultima che riguarda la Federazione internazionale di pattinaggio del dicembre 2023». Oggi Giraudo non parteciperà all'udienza. «Comparirà solo quando ci sarà la parola fine sulla vicenda», assicurano i suoi legali.
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