Bugatti e Campogalliano Quella fabbrica da sogno

Un documentario ripercorre la leggenda del marchio portato in Italia da Romano Artioli

Piero Evangelisti

«Il marchio dalle tre vite»: si potrebbe sintetizzare così la storia di Bugatti, uno dei più affascinanti brand della storia dell'automobile. La prima inizia nel 1909, a Molsheim, Alsazia allora tedesca, dove Ettore Bugatti, emigrato italiano con precedenti esperienze presso Case automobilistiche, fonda la sua società e apre quello che oggi definiremmo un atelier per supercar destinate alle competizioni e a selezionati e ricchissimi clienti che si sarebbero messi al volante di auto mitiche, spesso dipinte di quel bleu divenuto un marchio di fabbrica, che portavano nomi come Royale o Atlantic, pezzi rari che oggi spopolano ai Concorsi d'eleganza e alle aste di vintage car. L'avventura della Bugatti finisce, ingloriosamente, con un fallimento nel 1963.

Ci vogliono quasi 25 anni per aprire il secondo capitolo, quello italiano, del marchio, quando Romano Artioli, affermato imprenditore che importava e distribuiva vetture straniere nel nostro Paese, dopo avere acquisito i diritti dagli eredi, fonda la Bugatti Automobili con sede a Campogalliano, dove comincia l'Autostrada del Bennero, in uno stabilimento che è ancora lì, a ricordarci l'impresa.

Artioli sceglie il meglio per creare una supercar degna del brand, dal designer Giampaolo Benedini, per la fabbrica e le linee dell'auto, a Paolo Stanzani, firma nobile dell'ingegneria automobilistica. Nasce la EB 110 12 cilindri a V con 560 cv - che arriva a sfilare sulle strade della Défense, a Parigi, davanti al presidente François Mitterrand, e l'auto viene subito avvolta dal mito, quello della rinascita di un brand glorioso. Se ne faranno soltanto 159 esemplari, oggi ricercatissimi, ma anche il secondo capitolo di Bugatti si chiude presto, nel 1995. La terza fase è quella attuale, iniziata con l'acquisizione nel 1998 della marca da parte del Gruppo Volkswagen, un «fiore all'occhiello» voluto espressamente dall'allora grande capo Ferdinand Piëch per dare lustro al colosso tedesco dove non c'era ancora Porsche. Di Bugatti, da allora, non ne sono state costruite molte, il numero è quasi riservato così come i costi per realizzarle.

L'ultima creatura è la Chiron, motore a 16 clilndri, otto litri di cilindrata, 1.500 cv, velocità massima di 400 orari e una percorrenza, in città, di poco più di due chilometri con un litro di benzina. Oggi torniamo a parlare di Bugatti perché Luca Vaccari, quarantunenne imprenditore abruzzese trapiantato in Spagna, a Valencia, da dove aiuta le aziende italiane a espandersi in terra iberica, vuole ridare valore al «capitolo italiano» del marchio Bugatti e ha prodotto un film documentario girato nello stabilimento di Campogalliano, una struttura abbandonata da più di 20 anni, ma ancora oggi moderna grazie ai concetti avveniristici secondo i quali era stata progettata e costruita, una «cattedrale» dedicata all'automobile che andrebbe riutilizzata nel settore, evitando che diventi preda dei costruttori di centri commerciali. «Negli ultimi tempi ho notato una mancanza di entusiasmo negli imprenditori italiani spiega Vaccari un pessimismo che spesso prevale sulle tante qualità imprenditoriali che noi italiani possediamo. Per questo, ho voluto realizzare il documentario che ricorda la gloriosa storia del marchio Bugatti portato in Italia grazie a un imprenditore coraggioso come Romano Artioli».

La fabbrica di Campogalliano sta riprendendo vita, anche se non si tratta di produrre auto, ma per presentarsi in ordine il 28 maggio quando ci sarà una proiezione in anteprima del documentario: attesi oltre 500 fan del marchio, collaboratori storici (non ci sarà purtroppo Paolo Stanzani, scomparso quest'anno) e anche il vecchio capo Artioli. Chissà, forse tra le mura dello storico edificio, parte integrante della Motor Valley emiliana, in un futuro non lontano si potrebbe tornare a lavorare per l'automobile.

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