In quarantena c'è chi si annoia e lo dice come Douglas Costa e chi si preoccupa e cade in depressione, come il 13% dei calciatori che hanno risposto al sondaggio realizzato FifPro (il sindacato mondiale dei calciatori professionisti) in collaborazione con l'Università di Amsterdam. Tra il 22 marzo e il 14 aprile, sono stati intervistati 1.134 giocatori (età media di 26 anni), e 468 giocatrici (23) di prima e seconda divisione di 16 Paesi in lockdown. Sondaggio in digitale e rigorosamente anonimo. Ebbene, il 22% delle donne e il 13% degli uomini ha riportato sintomi coerenti con una diagnosi di depressione; mentre il 18% delle donne e il 16% degli uomini ha accusato ansia generalizzata. Tra le 16 nazioni che hanno partecipato al sondaggio ci sono Inghilterra, Francia, Belgio, Svizzera, Stati Uniti, Australia, Botswana, a rappresentare 4 continenti: mancano tra le altre - Italia e Spagna (oltre alla Germania), ma non per questo si può pensare che Serie A e Liga possano vantare percentuali inferiori.
«Nel calcio, improvvisamente i giovani atleti devono affrontare l'isolamento sociale, una sospensione della loro vita lavorativa che pone dubbi sul loro futuro», racconta Vincent Gouttebarge, responsabile medico della FifPro. «Alcuni potrebbero non essere ben equipaggiati per affrontare questi cambiamenti e li incoraggiamo a cercare aiuto ad una persona di cui si fidano o da un professionista della salute mentale». Insomma anche nel dorato mondo del pallone c'è poco da stare allegri e se per la gran parte dei calciatori dei principali campionati, quella economica non è la prima preoccupazione, se solo si scendesse di una categoria (per esempio nella Serie C italiana, ufficialmente professionistica) ci si confronterebbe davvero con lo spettro di un nerissimo futuro.
La pandemia scuote anche la coscienza del calcio. «È importante che tutti i soggetti attivi lavorino insieme, stipulando contratti collettivi che mantengano la stabilità sociale», spiega Jonas Baer-Hoffmann, segretario generale della FifPro. Giorgio Chiellini è consigliere del sindacato mondiale e invita a stringersi intorno ai soggetti più fragili: «Manteniamo vivo lo spirito di squadra anche adesso che non c'è il calcio. Occorre restare in contatto tra noi, col telefono e le videochiamate, aspettando di poter ricominciare ad allenarci per svolgere la nostra professione».
Analogo sondaggio svolto tra dicembre e gennaio, aveva dato risultati ben diversi: prima delle sospensioni soltanto l'11% delle calciatrici e il 6% dei calciatori riportava sintomi di depressione.
«Temo che il fenomeno non sia limitato al calcio, ma che valga per tutti i settori della società, che si trova ad affrontare un'emergenza senza precedenti», aggiunge il dottor Gouttebarge, che con il suo team sta preparando un kit di strumenti per la salute mentale, da fornire al più presto alle 65 associazioni nazionali affiliate alla FifPro.
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