«Caro Stefano, ti auguro di riprenderti presto. Vincerai anche questa partita...». Firmato, Luciano Bodini: il «dodicesimo» storico di Stefano, che di cognome fa Tacconi, mica uno qualsiasi...
Qui si parla del Gotha dei portieri, considerato che la strada umana e calcistica di Bodini ha incrociato quella non solo lastricata di successi di Stefano Tacconi, ma anche l'altra splendente di leggenda di un certo Dino, ovviamente Zoff. Luciano li ha conosciuti bene negli anni più gloriosi della Juve, tempi in cui i «secondi portieri» rischiavano davvero di rimanere «riserve» a vita.
Erano loro i tenenti Drogo del calcio italiano, sempre in attesa di un'opportunità che non arrivava mai; soldati come Piloni e Alessandrelli (tanto per rimanere nella truppa bianconera) le eroiche guerre da medaglia al valor militare le hanno sempre guardate dalla fortezza Bastiani della panchina. Bodini no: lui il deserto dei tartari lo ha attraversato con forza, orgoglio e il medesimo silenzio assordante dell'ufficiale solitario protagonista del romanzo di Buzzati. Luciano, nonostante la presenza ingombrante di Tacconi e quella schiacciante di Zoff, è riuscito a ritagliarsi il suo orizzonte di gloria e se oggi resta il «dodicesimo» più amato dai vecchi tifosi bianconeri (tutta gente che, nella migliore delle ipotesi, i capelli ormai ce li ha solo bianchi) un motivo ci sarà. Anzi, più di uno, come si evince tra l'altro dall'appassionante autobiografica che gli ha dedicato Nicola Calzaretta in «Secondo...me. Una carriera in 12esimo» (Libri di Sport Edizioni).
Luciano, come stai?
«Il mese scorso ho compiuto 69 anni. Non mi lamento».
Tacconi ha avuto gravi problemi di salute (un ictus lo scorso anno, nda), ma ora si sta riprendendo.
«Stefano è un vincente. Ha sempre parato tutto, respingerà anche il tiro mancino della malattia. Glielo auguro di cuore. Anche Trapattoni e Furino attraversano momenti difficili, li abbraccio entrambi».
Insieme avete vissuto gli anni d'oro della Juve. Una serie di trionfi incredibili, in campionato e nelle maggiori competizioni internazionali.
«Una squadra di campioni. Inutile elencarli tutti».
Con la porta blindata: prima da Zoff, poi da Tacconi.
«Quando Dino si ritirò, pensai che fosse il mio turno. Sbagliavo. Arrivò Tacconi...».
Tu però, ogni volta che venivi chiamato in causa, mostravi di non essere secondo a nessuno.
«Da titolare ho conquistato Coppa Italia, Mundialito, Supercoppa Europea e qualificazione alla finale di Coppa dei Campioni».
Ma la finale contro il Liverpool la giocò Tacconi in quel maledetto 29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles.
«Il ricordo più brutto della mia carriera. La scena di quei morti ancora non mi fa dormire. Quanto alla mia esclusione, quando mi venne comunicata fu naturale rimanerci molto male...».
Ti sentisti tradito. Come andò esattamente?
«Ero reduce da una serie di ottime prestazioni. Ma Tacconi era Tacconi... La stampa lo sosteneva. Io non facevo polemica. La società aveva investito molto su di lui. E così il Trap si avvicinò e mi disse che a Bruxelles avrebbe giocato Stefano. Non dissi una parola, andai via con la testa bassa».
E decidesti di rimanere alla Juve e per il Trap hai sempre avuto parole di affetto.
«Dopo quella delusione fui tentato di andar via. Mi consultai con Scirea che mi disse di rimanere. Idem Boniperti, che per convincermi mi concesse un piccolo aumento di stipendio. Anche l'avvocato Agnelli mi stimava. Decisi così di rimanere. Trapattoni continuò ad essere un secondo padre: personaggio carismatico, capace di caricarti come nessun altro allenatore. Alla Juve a quei tempi la parola d'ordine era solo una: vincere. Ma Giovanni riusciva ad imporla col sorriso sulla bocca».
Restano famosi i suoi calembour.
«Ne sparava a raffica».
Del celebre Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco ormai sappiamo tutto. Qualche inedito?
«La Juve non è una semplice fuoriserie, è una Ferrari!; Se alla vecchia signora cade il gomitolo di lana, poi tocca riavvolgerlo».
Perfetto per l'attuale Vecchia Signora
«Oggi dal gomitolo bianconero sono caduti 15 punti di penalizzazione. E riavvolgerli sarà difficile».
I proverbi del Trap non sbagliano mai.
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