Di anni quarantuno ma con la voglia di giocare ancora a pallone. Mica con gli amici o per insegnare football ai bambini. No, proprio il calcio vero, professionistico, roba seria. Gianluigi Buffon non molla la presa, fa parte del suo repertorio, pur con qualche distrazione dovuta all'età che è quella succitata. Torna alla Juventus e la notizia slitta tra nostalgie e malinconie. Che vorrà fare da grande questo ragazzone che, con il tempo, ha preso a filosofeggiare, con locuzioni improbabili, avventurandosi in pensieri e parole che di aulico non hanno nulla.
Ma questo è un dettaglio a parte, il succo sta nella decisione presa dallo stesso Buffon di lasciare Parigi che non vale più una messa e una mossa, per tornare in Patria, a Torino, nella Juventus dalla quale era uscito appena ieri, inseguendo ambizioni e trofei ma scoprendo anche l'amarezza di fischi, insinuazioni, insulti per le sue gaffe tra i pali. Gli hanno offerto milioni otto di salario per il nuovo anno ma a patto che accettasse di starsene in panchina e ogni tanto riprendere il mestiere da titolare. Ci ha pensato su e si è detto «così no, scelgo io se giocare o meno». Un po' presuntuoso, direi, ma può essere capito, il viale del tramonto arriva improvviso per chi è abituato a viaggiare in autostrada, senza limiti di velocità (ehm). Buffon rientra a Torino per fare la riserva come a Parigi ma con uno stipendio che è la metà della metà di quello garantito dall'emiro, però con il pennacchio del veterano non della vecchia Gloria, di colui al quale Sarri assegnerà una maglia di riserva in campo ma di titolare nello spogliatoio, perchè Buffon sa farsi comprendere, chiedete a Mbappé e dunque dovrà usare i suoi metodi paramontessoriani per tenere a bada gente come Kean o Douglas Costa, tanto per citare un paio di testine che non hanno ancora capito quale sia il giro del fumo juventino. Buffon navigator, dunque, ancora un anno, forse un altro ancora, perchè fermarsi è un verbo difficile da leggere e da imparare a memoria. Questo è il guaio. Avrei preferito una dichiarazione, un tweet, un post su facebook, un annuncio in conferenza stampa: Grazie di tutto, ora è il tempo di lasciare il teatro. Negativo. Come vent'anni fa, quando si presentò davanti alle telecamere esibendo una maglietta sulla quale aveva scritto con il pennarello Boia chi molla, provocando allergie e reazioni tra i benpensanti.
Vent'anni dopo lui non è un boia e dunque non molla, prosegue e questo fa un po' tenerezza, alla quale si aggiunge rabbia perchè un campione, e Gigi Buffon è stato davvero un numero uno non soltanto di maglia, dovrebbe abbandonare il palcoscenico prima di giacere durante la recita. Dicono che, dopo quest'ultima giocata bianconera, farà il dirigente, participio presente del verbo dirigere che è pieno di significati ma anche di responsabilità. Per intraprendere questa attività servono attributi non soltanto caratteriali ma profonda conoscenza del settore operativo. Altrimenti lo stesso campione rischia di finire imago sine re, come i latini definivano alcuni ruoli istituzionali di facciata, immagine senza sostanza.
Quello della Juventus, in particolare di Andrea Agnelli che con Buffon ha instaurato un rapporto famigliare, è un attestato di fiducia, avendo intuito che Maurizio Sarri avrà bisogno di una spalla, all'interno dello spogliatoio, che gli faccia da interprete e da collante. A Buffon mancano otto partite per battere Paolo Maldini (647) ed entrare nell'almanacco come record di presenze. Poi, mi auguro, verrà l'addio. Definitivo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.