È la partita della maturità. Fuori da San Siro un tabellone luminoso recitava tradotto dall'inglese: l'Europa è la nostra casa. Una consapevolezza trasportata sul campo dall'Inter anche in una notte che a lungo è sembrata stregata. Dall'infortunio di Thuram alle tante occasioni sprecate da Lautaro e Arnautovic, che nel momento della sua massima depressione (compresi i mugugni di San Siro) si è riscattato con il tap-in vincente. Lui c'era, da comparsa ma c'era, nell'ultima Champions vinta dall'Inter. A Madrid. Dove i nerazzurri torneranno tra tre settimane. Corsi e ricorsi? Sarà la storia a dirlo. Gli esperti ci avevano raccontato di un Atletico che non pensa più a non far giocare, ma che pensa a giocare. Ovviamente non è stato così.
Diego Pablo Simeone ha cucito a lungo la sua squadra addosso all'Inter, l'obiettivo rendere brutto l'avversario. Non ci è riuscito sulle imbucate che Simone Inzaghi si è inventato trasformando centrocampisti in centrali, terzini in mezzali e difensori in ali. Quando si dice la mano dell'allenatore. È stata convincente l'Inter. Ingannevole è stata la sua cavalcata invernale in campionato, dove la sua superiorità è manifesta per gioco e giocatori, prima ancora che nei risultati. Non si ricominci con la storia della Serie A non allenante quando le nostre squadre traslocano in Europa.
L'Inter è stata matura nella sua forza, nel rispetto dell'avversario, trascinato da un diavolo, piccolo solo di nome, quel Griezmann che sbucava da ogni angolo del campo per fare sempre una cosa intelligente. Non a caso Simeone si è inchinato quando lo ha tolto dal campo.
Si va in Spagna con un gol di vantaggio, pesantissimo. Obbligherà Simeone a mostrare quell'Atletico cambiato nell'anima, non più distruttivo ma propositivo di cui tanto si era parlato. E l'Inter sa far male come nessuno alle squadre che fanno giocare.
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