La lezione di Florenzi tra razzisti e maleducati

Si può segnare anche senza calciare in porta

La lezione di Florenzi tra razzisti e maleducati
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Si può segnare anche senza calciare in porta. Dopo due settimane in cui il calcio non ha parlato che del caso Acerbi-Juan Jesus, il difensore del Milan Alessandro Florenzi dopo la vittoria di sabato sera contro la Fiorentina si è presentato davanti alle telecamere e invece delle solite soporifere frasi da post partita a cui tanti altri ci hanno abituato - «Campo difficile ma abbiamo fatto bene»; «La squadra è col mister»; «Le partite durano 90 minuti» - ha candidamente ammesso: «Durante il riscaldamento ho litigato con un tifoso loro. In un ambiente sano come può essere Firenze, ha detto talmente tante cattiverie su quello che potevo essere io, sulla mia romanità, sul fatto di essere alto o basso che non è una cosa giusta per quanto mi riguarda». La sua voce s'è fatta seria e il pensiero profondo: oltre a combattere il razzismo, il mondo del pallone deve imparare anche il valore del rispetto reciproco. «Non è proprio un qualcosa di uguale all'essere razzista - ha continuato -, ma non è una cosa giusta. Non portiamo a caso 11 bambini con noi in campo. Siamo un esempio per le nuove generazioni: non manco mai di rispetto e nessuno deve farlo, né i giocatori e né i tifosi». Anche in campo e allo stadio c'è un limite oltre cui non si deve andare: un discorso che è una goccia di buon senso in un mare di stupidità. Si può essere calciatori senza essere uomini di valore, con le sue parole il milanista ha dimostrato di poter essere entrambi: genuinità e trasparenza non sono per tutti.

Come quando il Mike Maignan fu pesantemente insultato dai tifosi dell'Udinese, Florenzi non ci mise molto a prendere posizione: «Se non ci avesse detto che era pronto per rientrare, non lo avremmo fatto». In un mondo di banalità è meglio essere Florenzi.

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