Conte e la Nazionale: i 5 motivi dell'addio

Non c'è solo il Chelsea dietro il saluto anticipato

Antonio Conte, ct della Nazionale Italiana di calcio
Antonio Conte, ct della Nazionale Italiana di calcio

Dall'azzurro ai Blues, questione di sfumature. In conferenza stampa Antonio Conte non lo ha detto esplicitamente, ma lo si leggeva nei suoi occhi turchesi: dopo gli Europei in Francia, volerà a Londra per allenare il Chelsea.

Oltremanica la danno già per fatta: contratto triennale e busta paga da top manager. Lasciamo parlare gli inglesi al posto nostro, noi ci atteniamo al condizionale d'obbligo. Quel che è certo è che fra tre mesi e poco più l'ex allenatore juventino uscirà dal "garage" di Coverciano, dove in realtà se ne sono fatti una ragione da un paio di settimane, da quando è scattato il toto-ct (in pole ci sarebbe Gigi Di Biagio che sta guidando l'Under 21, un'opzione in famiglia insomma, con Donadoni sullo sfondo). Ma quali sono le vere ragioni per cui Conte ha messo le mani avanti? Ne azzardiamo cinque. Il resto è un tabù già ampiamente sfatato dai tabloid.

1) Un amore mai sbocciato. Due anni fa il numero uno della Figc Tavecchio ha dovuto convincere Conte a suon di sponsor per relegarlo alla panchina azzurra, ma ad Antonio l'idea di stare mesi e mesi a poltrire davanti al televisore selezionando con il telecomando i giocatori da convocare non lo ha mai attirato. Conte vuole tornare ad allenare 24 ore su 24, sente il bisogno impellente di brucare l'erba ogni santo giorno. E così tornerà a fare da luglio. C'è da sottolineare però che il ct ha centrato il massimo risultato con il minimo delle risorse, conquistando il primo posto imbattuto nel girone di qualificazione. Ineccepibile professionalità.

2) Un indigesto calendario di Serie A. E sì che, quando allenava la Juve, Conte si lamentava dei continui saccheggi dei suoi nazionali da parte dell'allora ct Prandelli, reo di decimargli la squadra magari in vista di qualche big match. A parti invertite, Antonio ha capito cosa significa avere le mani legate e non poter neppure imbastire uno stage con i suoi azzurri. Spostare la prossima finale di Coppa Italia che cozza con il ritiro pre-europeo sarà l'ultimo braccio di ferro con la Figc.

3) Una battaglia persa. Conte l'ha capito: a meno di un clamoroso exploit in terra d'oltralpe, che poi è quello in cui il ct uscente spera per lasciare da vincitore, l'attuale generazione azzurra è una delle meno talentuose di sempre e il fatto di dover ricorrere, con tutto il rispetto, all'ultratrentenne Thiago Motta per dare un po' di raziocinio al centrocampo (Verratti è infortunato cronico e Pirlo sta sbiadendo negli States) è indice di un impoverimento sommario della qualità della nostra cantera. Che, ora come ora, non sembra avere un grande futuro.

4) Coscienza pulita. Al di là dell'ombra del calcioscommesse, situazione ancora tutta da chiarire nelle sedi opportune, dare l'addio anticipato significa togliersi un peso di dosso e preparare l'Europeo con più serenità. Come dire: "Io ve l'avevo detto, comunque e ovunque vada, questo sogno era destinato a svanire".

5) Voglia di top club. Conte non ha mai nascosto l'ambizione di voler sedersi prima o poi su una panchina europea prestigiosa. Era già in orbita Chelsea quando si dimise dalla Juve nei panni dell'eroe triscudettato, poi arrivarono le sirene di Tavecchio.

Ora Abramovich è tornato di moda e con esso una marea di rubli mescolati con altrettante sterline. Ma i soldi non sono tutto, o quasi, per uno come Conte. Che pur di vincere la Champions League attraverserebbe la Manica a nuoto. Dalla Francia all'Inghilterra il passo è breve.

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