La sua Larissa è tornata a volare e per Gianni Iapichino la gioia è doppia. Il padre-allenatore, ex primatista nazionale dell'asta, racconta come ha costruito l'impresa più bella: l'argento europeo da record italiano con il quale ha cancellato il precedente limite nel salto in lungo che condivideva con mamma Fiona.
Gianni, come avete festeggiato questo risultato?
«Siamo arrivati in albergo soltanto alle undici e mezza, a quel punto siamo andati a cena e, insieme agli spagnoli, abbiamo brindato a questa medaglia che speriamo sia la prima di tante».
Cos'è stata la prima cosa che le ha detto?
«Dopo tutte le incombenze post-gara, dalla zona mista alla premiazione all'antidoping, solo alla fine di tutto, io e la mia compagna Silvia Saliti, che è anche la manager di Larissa, siamo riusciti a parlarle. Le ho detto: Il tuo salto mi sembrava più lungo. E lei mi ha detto: Babbo va bene così, sono contenta lo stesso».
In effetti, l'abbiamo vista piuttosto agitata dopo il balzo di Larissa. Come mai?
«Perché c'erano stati dei grossi problemi nella misurazione dei salti. Addirittura, il salto di un francese l'avevano sbagliato di 25 cm. La mia sensazione è che quello di Larissa fosse superiore ai 6,97 m. del record nazionale. Tra l'altro, c'è voluto oltre un minuto per sapere la misura. In più, ho saputo che c'era stato un ricorso contro i 7 metri della vincitrice. Lì per lì, per la foga, mi ero innervosito. Ma non c'è polemica. La gara è andata benissimo così».
E che gara. Come la descriverebbe?
«Larissa ha dimostrato a tutto il mondo di essere un'agonista pazzesca. Ha ricevuto i complimenti di tutti. Cosa può fare in futuro? I 7 metri sono lì, a 3 centimetri. L'obiettivo è quello di ripetersi all'aperto».
Larissa arrivava da un paio d'anni un po' complicati.
«C'è stato un infortunio al piede che l'ha tenuta fuori dalle Olimpiadi di Tokyo. Quando ha scelto me come allenatore, siamo dovuti partire da zero. Anch'io, come allenatore ho dovuto imparare a conoscerla. L'anno scorso stentava a decollare, ma quello che abbiamo costruito da lì in poi è stato importante per il futuro».
Quando la svolta?
«Alla fine dell'anno scorso, dopo l'Europeo di Monaco e il terzo posto in Diamond League a Bruxelles. Ha vinto in Liechtenstein col miglior salto dell'anno».
Come si coniuga il ruolo di papà e coach?
«Non è facile, ma non è facile fare il padre. Larissa in allenamento è tranquilla, vuole dei riscontri che le diano sicurezza per quando poi deve andare in gara. Io la metto davanti a degli obiettivi».
Come è il vostro rapporto al campo?
«Se c'è una cosa da dire, la dico. Sono un tipo abbastanza diretto, non è che mi risparmio. Non c'è un senso di preservare la persona perché è tua figlia. Ma quando vedo che sto per oltrepassare il limite mi fermo e ritorno dietro».
Cosa ha fatto la differenza in questo avvio di stagione?
«Un esperimento che è andato a buon fine. Siamo scesi da 10 allenamenti a settimana a 5, con il weekend libero. Abbiamo lavorato sulla qualità e non sulla quantità e si è visto nella finale degli Europei, dove ha fatto il record di 6,97 solo all'ultimo salto. Come ha detto qualcuno, se ci fossero stati altri due salti, avrebbe fatto 7,20!».
Nell'atletica ci si affida spesso a figure genitoriali come i Tortu e Tamberi.
«Se uno viene da una famiglia di atleti, non vedo controindicazioni. Il mio allenatore per me era come un secondo padre. Qual è la differenza tra avere tuo padre e un'altra figura? Alla fine, si crea una sorta di simbiosi».
Larissa ha detto che la prima telefonata è stata quella della madre.
«Mi ha riferito che gridava come una matta ed era contentissima del fatto che l'avesse battuta».
Come mai Fiona è lontana?
«La madre non è mai voluta intervenire troppo nelle cose di Larissa, non vuole metterla in difficoltà. Da quello che mi dice Larissa sta cercando in ogni modo di essere una figura defilata».
E la Larissa fuori dal campo di atletica?
«È iscritta a giurisprudenza e ha già dato degli esami. Vorrebbe entrare nel mondo dell'avvocatura e magistratura».
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