Il football in tunica ha cominciato a prendere piede con l'ingresso nel Paris Saint Germain. I signori del Qatar hanno fatto intendere la potenza loro a suon di danari, magari in cambio di qualche disattenzione europea sul fair play finanziario. Pazienza! Ubi dollaro minor cessat. Poi eccoci ai mondiali del pallone e volete che l'intrepido Infantino, e chi lo ha preceduto alla presidenza Fifa, non li vestisse in tunica? Suvvia, a questo mondo bisogna saper vivere. Soprattutto incassare. Ma in tunica non si può giocare sul campo, servono maglietta e calzoncini. Peccato, l'operazione sarebbe stata eclatante e appagante per un mondo arabo a caccia di simboli e simbologia. Però, fuori campo, si possono mettere i campioni in tunica e non tanto per far moda. Certi campioni. Ha risolto il problema il dio del pallone. E voilà la foto di Lionel Messi, argentino più da sombrero gaucho che da turbante arabo, sul gradino più alto per prendersi la coppa, certo, ma vestire anche il Bisht, un capo d'abbigliamento prestigioso che rappresenta regalità e benessere. Eccolo, finalmente il calcio in tunica. Qualcuno avrà storto la bocca, qualcuno compreso la manovra avvolgente in ogni senso. Ora si è messo anche Cristiano Ronaldo che, in cambio dei suoi 500 milioni in poco più di due anni, ha frugato nel suo animo carnevalesco per sfarfalleggiare a Riad vestendo abiti tipici sauditi e impugnando una spada simile a quella che campeggia sulle bandiere locali. Il buon ragazzo si è speso (ha fatto spendere) per celebrare i 300 anni dalla fondazione dell'Arabia Saudita: nemmeno si è negato il divertimento di provare la danza Ardah. Nulla di male, ma forse deludente vedere beniamini del gol finire in maschera.
Carriere che sviliscono così, seppur nella goliardia di una festa dell'Al Nassr e dei compagni di squadra. Basta non diventi una moda: dal turbante al disturbante ci vuol poco. Nell'immaginario collettivo Messi, Ronaldo, restano grandi campioni e non saranno mai fantasmi, magari un po' fantocci.
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