«Dica 33», ai nostri club piace l'usato sicuro

Il Milan ne ha presi tre, l'ultimo dei quali ha segnato 13 gol in 64 presenze negli ultimi due campionati inglesi ed è stato salutato con ironie e sfottò da tutti i tifosi del Chelsea. Fernando Torres, infatti, si aggiunge a Diego Lopez ed Alex. Ma in questa sessione di mercato ne sono arrivati ben dieci. Dieci ultra trentenni dall'estero, acquistati per lo più dalle grandi del nostro campionato, che vanno ad invecchiare un campionato in cui per i giovani è sempre più difficile trovare spazio. I tre rossoneri aumentano la lista che già comprendeva Rafa Marquez (Hellas Verona), Nemanya Vidic (Inter), Patrice Evra (Juventus), Alex (Milan), Ashley Cole (Roma), Seydou Keita (Roma), Albert Riera (Udinese) e volendo anche il più «giovane» Josè Basanta (Fiorentina), argentino classe 1984 che da sei anni giocava in Messico nel Monterrey.

Praticamente tutti hanno già raggiunto in carriera il loro apice e, se il valore tecnico non si può discutere, lascia perplessi la progettualità delle nostre società, che preferiscono puntare su un usato sicuro più che scommettere su qualche giovane, possibilmente italiano. Ultimamente da noi conta quella che comunemente viene detta "esperienza". Meglio un giocatore dal curriculum importante, che un neofita poco conosciuto un primavera che arriva dal vivaio. Proprio perché in una Serie A tecnicamente scesa di livello, chi sa giocare a pallone, pur essendo calato fisicamente, è ancora in grado di fare la differenza. Lo hanno dimostrato negli ultimi anni i vari Yepes, Klose e Maicon, continuano a confermarlo Pirlo, Totti, Toni e Di Natale. La carta d'identità, nel nostro campionato, non ha primario valore.

Alcuni tra i maggiori top club italiani, Juventus, Roma, Inter e Milan, hanno preferito puntellare le loro rose con giocatori sopra i trent'anni, possibilmente pagando poco o nulla il cartellino, ma garantendo loro ingaggi considerevoli. Fino a dieci/quindici anni fa, quando la Serie A era il miglior campionato del Mondo, “affari” del genere non venivano nemmeno presi in considerazione. Ora non si può che prendere atto della ritualità delle ultime estati. Prima, infatti, i campioni venivano da noi giovani o nel pieno della maturità calcistica e poi andavano a “svernare” in altri campionati. Ora il percorso è l'esatto contrario: danno il meglio altrove e vengono a guadagnare gli ultimi soldi in Italia.

Sintomo di una crisi evidente, tecnica e manageriale. La nostra Serie A mantiene uno status ammirevole, ma soltanto da chi è sconosciuto e può aver visibilità per una, massimo due, stagioni (Sanchez, Jovetic, Pastore) o da chi vuole togliersi lo sfizio di chiudere qui una gloriosa carriera.

Persino i nostri giovani di maggior talento, da Verratti a Immobile, da Cerci a Balotelli, alla prima offerta importante tolgono subito il disturbo. Sono cambiate le gerarchie europee, si è modificato il sistema e bisogna fare di necessità virtù.

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