Dottor Carletto in lacrime. "Calciatori? Prima uomini"

Ancelotti e il riconoscimento dell'Università di Parma. "Il calcio m'ha insegnato il rispetto. Le lezioni dei ko"

Dottor Carletto in lacrime. "Calciatori? Prima uomini"
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«Sì mi dona sentire dottor Carlo, chiamatemi così da oggi». Carlo Ancelotti il magnifico è capace di non fingere modestia fasulla né ritrosia nel giorno in cui a Parma, l'università degli studi della città che l'ha lanciato come calciatore prima e allenatore poi, gli ha conferito la laurea magistrale ad honorem in Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattate. La cerimonia, allestita nello splendido auditorium Paganini colmo di studenti, è stato un inno alla semplicità dell'uomo che ha conquistato ogni possibile trofeo calcistico senza mai sentirsi una divinità, anzi traendo forza, risorse e comportamenti virtuosi dalle sue radici, contadine, a Reggiolo. «Ho cominciato all'oratorio a giocare a calcio, e giocavo fino al calar del sole perché non c'era altro, non c'erano playstation o cellulari» il racconto affondato nella spensierata giovinezza. Accompagnato dalla moglie, la sorella Angela, il maestro di una vita Arrigo Sacchi, Ariedo Braida e Vincenzo Pincolini, la vedova di Villiam Vecchi, collaboratori nel Milan berlusconiano, Carlo si è presentato con i panni autentici di un carattere mite («sono molto paziente»), illuminato da una strepitosa umanità trasferita nel lavoro a tal punto da far dire a Paolo Maldini, dopo gli 8 anni da allenatore del Milan, una frase che vale un attestato («mi ha regalato una qualità della vita straordinaria»).

Nella prima e forse unica lectio doctoralis dal titolo significativo il calcio: una scuola di vita, Ancelotti ha svelato il segreto del suo successo da allenatore, venerato dai calciatori incontrati, quelli famosi e quelli non, quelli dotati e quelli non. «Perché ho sempre avuto rispetto per le regole, per le gerarchie, per le persone. Ai calciatori nuovi io chiedo: chi sei? Molti mi rispondono: un calciatore. No, correggo io: tu sei un uomo» ha spiegato. Il debutto avvenne, come sempre, grazie a un incontro fatale, con Arrigo Sacchi («quando arrivò nel calcio sembrava che fosse sbarcato un marziano in un mondo antico») naturalmente. «Da lui ho appreso che invece di percuotere i calciatori è meglio persuaderli» ha aggiunto prima di segnalare il valore didascalico delle sconfitte («ho imparato molto più dalle sconfitte che dai successi, spesso dimenticati dopo 3 giorni»). Ha ceduto alla commozione incrociando gli sguardi dei familiari, dedicando il riconoscimento ai 5 nipoti («scopro con loro che son diventato nonno»), parlando della passione che è la sua benzina quotidiana («vado tutti i giorni ad allenarmi volentieri») e precisando che il talento «è genetica, impossibile da migliorare». «Pensate a Maradona: cosa gli si poteva insegnare?». Niente.

Lui, il dottor Carlo invece è pronto a migliorare, non ha mai smesso. Ha solo rinunciato alla tecnologia. Il suo osservatore di fiducia, Gigi Lasala, continua ad andare in giro per l'Europa a vedere partite e a spedirgli relazioni scritte.

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