Un'azione per voltare pagina, un righello per buttare tutto all'aria. La nuova Inter di Simone Inzaghi ha le facce luminose di Calhanoglu e di Dzeko, ma anche il piede sciagurato di Denzel Dumfries, perché se i primi due fanno dimenticare le gesta di Lukaku e dello sfortunato Eriksen, l'olandese non può essere certo l'erede di Hakimi, anzi crea il pasticcio che rovina la serata nerazzurra, anche se per capire il guaio che aveva combinato gli uomini della Var devono ricorrere alle proiezioni ortogonali.
Già, quando tutti pensavano di aver ormai archiviato le gesta di molti protagonisti dello scudetto di Antonio Conte, la Juve ha trovato il millimetrico rigore che ha soffocato l'urlo liberatorio di San Siro. Ma davanti alle geometrie della Var c'è poco da prendersela. Meglio guardare a quanto di positivo Inzaghi ha regalato fino a quel momento. Perché la nuova Inter si era materializzata sulle ali del gol targato Calhanoglu-Dzeko, punta dell'iceberg di una squadra che ha cambiato profondamente connotati, che è passata dall'attendismo concreto targato Conte al gioco più accattivante cucito da Inzaghino addosso a vecchi e nuovi interpreti di questa squadra, che cambia pelle ma non vuol cambiare abitudini e soprattutto non vuole scucirsi lo scudetto.
Edin Dzeko è la ciliegina sulla torta, simbolo della concretezza di una società che pensa forse più al presente che al futuro ma che non ha avuto remore a sostituire il totem Lukaku con un giocatore di 35 anni che ad Appiano sembra aver trovato l'elisir dell'eterna giovinezza, puntuale, implacabile su ogni palla gol. Sette in nove giornate, roba da record in maglia nerazzurra perché si scomodano i confronti con Milito e Ronaldo e Branca, tutti numeri 9 che hanno debuttato nell'Inter con questo ritmo anche se il primato di 10 reti nelle prime 9 giornate di Istvan Nyers resta impresa d'altri tempi. Eppure questo Dzeko promette di infiammare San Siro allo stesso modo e fa sognare il popolo nerazzurro perché iniziò una stagione con questi ritmi anche al suo debutto nel Manchester City e alla fine portò lo scudetto a Mancini.
Ma la nuova Inter è anche nel piede lunatico di Hakan Calhanoglu che nella sera giusta si toglie di dosso il torpore che l'ha accompagnato in questi suoi primi mesi nerazzurri, come se l'ombra lunga del Milan avesse pesato sulla nuova maglia del turco.
Ma Calha, si sa, è fatto così, magari va in letargo per due-tre partite, poi sfodera quei colpi che fanno parte del suo repertorio e va a inventare il tiro (anche baciato dalla fortuna con la deviazione di Locatelli) che rompe la partita sbattendo sul palo di Szczesny e rimbalzando a portata del rapace Dzeko. Anche se alla fine l'altra faccia della nuova Inter ha rovinato tutto.
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