Quando scende la scaletta dell’aereo e si incanala verso il terminal di Fiumicino probabilmente non ci punterebbe un penny, su quell’accoglienza. Inforca gli occhiali da sole, spessi e giganteschi, mentre le guance iniziano ad incendiarsi. Una sciarpa degli Irriducibili gli corre rapida intorno al collo. Fuori esplode l’estate del 1992 e lui viene accolto come un profeta verboso dai tifosi della Lazio. Paul Gascoigne lo conosciamo già, in Italia. Il mondiale del ’90, le sue lacrime, i colpi di testa alternati all’estro di cui cosparge il campo.
Ad attenderlo c’è un tizio dinoccolato, dall’aria compita e severa. Per slacciargli un sorriso serve una miracolosa congiunzione astrale. Dino Zoff si nutre di regole. Affonda compiaciuto nel sacrificio. Non tollera chi cerca di opporre disinvolte scorciatoie al sudore della fronte. La collisione pare inevitabile. Gazza è totalmente incapace di addomesticare la propria esistenza. Il suo approccio al quotidiano è circense: spesso clown, sovente equilibrista, sempre oscillante tra bagliori (sul campo) e redenzioni rimandate. Una tara auto erosiva lo lavora senza sosta, costringendolo a sbandare. Spesso alza il gomito. A volte eccede nello scherzo. Ma il male inflitto è sempre rivolto verso l’interno. Paul è un folle buono. La gente lo adora e lo compatisce parimenti.
Bisognerebbe che fosse una spugna, per strizzare via il lato tetro e tenersi solo il gaudio. Quando è in buona emette scintille e vibrazioni, fuori e dentro il campo. La stampa si abbevera avidamente. Questo inglese matto è fabbrica inesauribile di titoloni. Zoff lo manda a chiamare, ma lui è sotto la doccia. Gli dicono che deve sbrigarsi e lui si sbriga. Arriva al campo d’allenamento nudo e gocciolante, allargando gli angoli della bocca. Dino prima inorridisce, ma qualcuno giura d’averlo visto sorridere.
Le sue non sono bravate da zero a zero. Sono pezzi di pregio. Gazza è uno di quegli artisti totali che, esprimendosi, si annienta grammo a grammo. Stringe un’intensa amicizia con Luigi Corino. Un giorno gli chiede di venirlo a prendere a casa per andare all’allenamento, che Gazza non guida, si sposta solo in taxi. Gigi scampanella e lui lo fa sedere in salotto. Gli accende la tv e dice di aspettarlo. Corino protesta: “Sai che se tardiamo anche solo 5 minuti il mister ci multa?”. L’inglese annuisce: “Take it easy, arrivo subito”. Passano i minuti. Che poi diventano un quarto d’ora, quindi mezz’ora. Quando Corino si mette a cercarlo scopre l’amara verità: Gascoigne se ne è andato con la sua macchina. Una volta arrivato al campo con un taxi, in ritardo cosmico, l’inglese strattona Zoff: “Multa mister, multa!”. La squadra si spancia.
Il 24 gennaio 1993 la stampa prova a scucirgli una dichiarazione, anche se lui si è dichiarato in silenzio stampa. “Perché non giocherai contro la Juve?”. La risposta è atterrente e prodigiosa: un rutto ai microfoni Rai. Scandalo nazionale. Si solleva anche un’interrogazione parlamentare. I tifosi si crogiolano.
In mezzo, inaffia di luce il prato dell’Olimpico. A volte pare caracollare indolente, ma poi, d’un tratto, cambia marcia. Sa smarcarsi come pochi. Calcia velenosamente sia di destro che di sinistro. Con lui la sfera è in cassaforte. Allarga il campo con la sua visione illuminata. Nel derby del ’92 salva la Lazio dallo psicodramma più ricorrente nella capitale: perdere contro gli insopportabili cugini. Frustata di testa e pareggio nel finale. Un patto d’amore eterno con i biancocelesti. “Poteva fare tutto - ha raccontato Zoff - cioè deliziarmi o deludermi. Bisognava saperlo prendere”.
E Dino sembra l’unico a riuscire nell’impresa. Un pomeriggio Gazza corre via dal campo e si rifugia negli spogliatoi. Zoff lo segue e lo trova che si rotola per terra gridando: “Io cattivi, io non vinci nulla”. Il mister lo solleva e lo scuote. Lui fugge ancora, stavolta nel parcheggio, e inizia a colpire le macchine. Dino gli va incontro per fermarlo. Gazza lo abbraccia e scoppia in lacrime. “Solo tu mi vuoi bene”.
La confezione è voluminosa
dall’esterno, ma sopra c’è scritto “fragile”. Gazza ci ha messo davanti a botte di felicità con filtranti precisi. Il miglior dribbling, quello ai demoni che covava dentro, invece non gli è mai riuscito.
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