Domani avrebbe compiuto un secolo di vita e ogni impresa, ogni attimo resta indelebile nonostante il tempo che passa, Fausto Coppi è ancora lì, solo al comando.
''Un uomo solo è al comando; la sua maglia è biancoceleste; il suo nome è Fausto Coppi'', urlava Mario Ferretti in una storica radiocronaca. E' probabilmente l'impresa simbolo quella della 17 tappa del Giro d'Italia nel 1949, da Cuneo a Pinerolo, quando valicò da solo cinque colli (Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere), malgrado 5 forature. E alla fine arriverà al traguardo con quasi 12 minuti di vantaggio sul secondo, proprio Gino Bartali.
Ostacoli e difficoltà da superare prima di arrivare al traguardo, proprio come nella vita del Campionissimo, segnata dalla Guerra e dalla prigionia in Tunisia fino alla tragica morte, che resta ancora una ferita collettiva. Celebre fu la sua storia d’amore con la Dama Bianca, Giulia Occhini. Una relazione extraconiugale per entrambi negli anni in cui il divorzio non era ancora consentito nel nostro Paese. Per il loro amore scontarono una condanna per adulterio, mai resa effettiva perché sospesa. Sposi in Messico, genitori a Buenos Aires dove nascerà il loro figlio Angelo Fausto. Insomma un amore d'altri tempi che seppe rompere le convenzioni sul matrimonio di allora.
Storica la rivalità con Gino Bartali, un dualismo mitizzato dalla stampa che per decenni riempì le cronache sportive dell'epoca. Se in corsa Bartali e Coppi si comportarono come cane e gatto, fuori dalle competizioni i due mantennero una salda amicizia nonostante rappresentassero una faccia diversa della stessa Italia, quella cattolica di Bartali, sanguigno e amante dei piaceri della tavola e quella laica di Coppi, schivo e scrupolosissimo nella preparazione alla corsa. Fu proprio Bartali a chiamare Coppi quando diventò direttore sportivo della San Pellegrino Sport, per correre da capitano nella sua squadra. Coppi accettò e annunciò di correre per tutto il 1960 e poi di lasciare la carriera sportiva.
Fino alla tragica morte, un fatale errore di valutazione di quella malattia contratta, insieme ad altri corridori nell'Alto Volta dove Coppi si trovava per celebrare l’anniversario dell’indipendenza del giovane paese africano. L'amico Raphael Géminiani, a cui fu diagnosticata la malaria, imbottito di chinino, riuscì a salvarsi. Per Coppi, con 40 di febbre, la situazione degenerò velocemente, per i medici italiani era influenza asiatica. A nulla valsero i tentativi degli amici di avvisare i medici che si trattava di malaria. Incredibilmente l'ipotesi non venne presa in considerazione. Il 2 gennaio 1960, alle 8,45, moriva Fausto Coppi e nasceva definitivamente la sua leggenda, il mito.
Oggi come allora
i tifosi continuano ad amarlo, sempre di più forse perchè come ricorda il figlio Faustino: ''Era un uomo vero, semplice, sincero, uno che ha sofferto. E forse la gente lo ha capito''. E' ancora lì, solo al comando.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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