La luce cometa del nuoto italiano ha chiuso la porta di una storia facendo l'ultimo tuffo con Giovanni Malagò, nel suo regno d'acqua dolce: lei in cuffia e costume, lui, il presidente del Coni, con camicia e senza scarpe. E la piscina di Riccione (dove ha ricevuto anche la cittadinanza onoraria) ha abbandonato lacrimucce e groppi in gola per lasciarsi andare ad un liberatorio sorriso. Sulle tribune hanno preso a sventolare, come bandierine tremolanti, cartelli, non a caso di azzurro colore, tenuti da mille mani con una scritta semplice, ma appagante: Grazie Fede. Grazie Fede, un leit motiv di tanti anni da protagonista. Il saluto allo sport «amato follemente», parole e musica di Federica Pellegrini, è stato divertente ed illuminato come deve essere una festa. Quasi a intonarsi con quella tuta, giallo vistoso, indossata ieri sul podio, nemmeno fosse ricordo di tanti ori vinti nei 200 metri stile libero come, forse, è stata la vita sua appena toccava l'acqua. Stile libero di sentirsi grande, determinata, mai appagata, non folle e disgregata dal sapore del successo.
Federica ha chiuso con lo sport attivo vincendo l'ultimo titolo italiano nei 200 per l'Aniene, il club di Malagò che l'ha accolta per 15 anni. Si è stretta nell'abbraccio sul podio con Rachele Ceracchi e Margherita Panziera che l'hanno rincorsa in gara senza l'istinto delle damigelle. Federica ha toccato lasciando in scia le altre, ma prima, sul blocco di partenza, si era intravista la tensione, il dispiacere, l'idea del pianto. «Ero sull'orlo di una crisi di nervi. Mi sono tenuta le lacrime», dirà dopo. Ma, poi, quando ha toccato e si è seduta sul cordolo della corsia, è sembrato rivederla per quello che è sempre stata: le mani giunte a cuore, simbolo di una ragazza romantica, il saluto a rotear le mani come un moschettiere davanti a sua Maestà. Athos, Porthos, Aramis , D'Artagnan, fate voi: lei una come loro, sfrontata e intrepida nel cercare l'avventura. Non poteva regalare foto più simbolica in una cattedrale delle sue imprese: la piscina dove nel 2009 segnò il mondiale in vasca corta.
Ma, appunto, non poteva mancare l'angolo del cuore, riservato ai genitori, al tecnico che diventerà suo marito, magari un sorriso anche agli amici in tribuna, che fossero Mara Maionchi o Alberto Tomba (lei è stata come Alberto per lo sci, Malagò dixit). Ci voleva The last Fight (conio Fede) con amiche e avversarie di una vita. Una seconda gara al sapor dolce dove l'hanno accompagnata Alice Mizzau, Camelia Potec (la rumena che la sconfisse nella prima finale olimpica), la fenomenale Sarah Sjostrom, l'olandese Femke Heemskerk, Sara Isakovic, che perse a Pechino la gara per l'oro, l'eterna avversaria Evelyn Verraszto. Ma al blocco di partenza numero uno, Federica ha posto la cuffia di Camille Muffat, una delle grandi avversarie, la ragazza francese morta a 25 anni per un incidente in elicottero. Questo è stato l'atto di cuore che recapiterà un'altra medaglia a Federica, bellissima come le altre 58 della carriera. Poi The last fight si è tramutato in una scampagnata-nuotata di 50 metri con le amiche fra sorrisi, abbracci, luci psichedeliche. Max Rosolino a fare da speaker, le amiche a dirle: «Sei una leggenda». E Fede a dettare il testamento di una grande campionessa: «Non mi sono fatta mancare niente. Però a tutti raccomando: non mollate mai, qualunque cosa vi diranno». Finisce così, con il bacio a Matteo Giunta prima tecnico, ora futuro sposo.
Federica se la sono sposati in tanti, amici, dirigenti, perfino giornalisti. Ma il fortunato sarà uno solo: scelto da lei, che da ragazzina introversa e scontrosa si è trasformata in una luce cometa dello sport italiano.
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