Federica Pellegrini: "Facevo paura perché politicamente scorretta, ora sento l’amore degli italiani"

Divina? No, meravigliosamente terrena. Federica a cuore aperto racconta 20 anni di fatiche, di alti (molti) e bassi (pochi) però devastanti. La malattia, le crisi di panico, le resurrezioni, i rischi presi, l’emancipazione e tanta voglia di famiglia

Federica Pellegrini: "Facevo paura perché politicamente scorretta, ora sento l’amore degli italiani"

«Lo so che incuto soggezione. È così fin da piccola». Per un attimo, solo uno, Federica abbassa gli occhi e si guarda le mani. Gesto veloce. Impercettibile. Dita lunghe e affusolate. È come se cercasse conferme, è come se le sue mani, curate ed eleganti quando affrontano la vita, forti e devastanti quando artigliano l’acqua, l’aiutassero a raccontare. Le osserva e, «sì», ripete, «è proprio così, spesso mi accorgo di mettere in soggezione chi si avvicina. Non so come succeda, saranno le frasi che dico, sarà lo sguardo...».

Serata in alta montagna, serata di luci soffuse, pianoforte in un angolo, tavolini bassi, musica sottovoce, sedie accoglienti, gambe accavallate, vestito bianco. Federica s’interrompe, si sporge un poco avanti accennando un sorriso, solo una virgola nel viso, «e ora dipende da te non farmi annoiare in questa intervista». Ecco come succede. Ecco come riesce a mettere in soggezione, a farsi odiare e amare, detestare e apprezzare. Neppure due ore prima pareva altro. Non indifesa, questo mai, però altro. Era stesa a terra nella palestra di Livigno, al centro di una stanza affollata di gente che le gironzolava attorno come se, lei, non avesse vinto sei mondiali ed ori e medaglie olimpiche e macinato record ancora imbattuti. Era in canotta, fuseaux, pelle lucida di sudore, per nulla Divina, quel soprannome che tutti noi, sbagliando, le abbiamo incollato addosso da troppi anni. Perché gli Dei oziano. Gli Dei sono parassiti nati fortunati. Gli Dei sono quattro perditempo privilegiati appollaiati su un monte. Federica, invece, da vent’anni si ammazza di fatica, Federica da diciassette anni è ai vertici mondiali del nuoto e negli sport fatti di fisico e sudore nessuno al mondo ha mai resistito in vetta così a lungo come lei. Per questo Federica è tutto tranne che divina. Di più: è assolutamente e fieramente e meravigliosamente terrena. Come stamane, quando ha schiaffeggiato per chilometri l’acqua perfetta e faticosa dei 2300 metri d’altitudine di questa ricca prigione in mezzo alle montagne. Come nel pomeriggio, mentre con la forza delle sole braccia lanciava una, due, dieci, venti volte quella palla di 10 chili verso Matteo, il suo allenatore, ritto in piedi pronto a ricevere e ributtarle addosso il macigno quasi volesse schiacciarla anziché allenarla. O come un attimo dopo, quando si è alzata per appendersi tipo Rambo a una spalliera e sollevarsi una, due, dieci, mille volte.

«Vedo la reazione delle persone quando sono con me» riprende il filo, «ed è strana. Capirei se fosse l’imbarazzo di chiedere un autografo a una persona famosa; in fondo anch’io proverei soggezione ad andare da Cristiano Ronaldo e “scusa, mi fai una dedica?” Quella che noto negli occhi della gente è un’espressione di soggezione diversa. Non c’entra la notorietà, non so a cosa sia dovuta. C’è e basta».

Anche Fede ragazzina metteva un po’ a disagio gli altri con la sola presenza?

«Sì. Forse perché sono stata sempre una bambina molto diversa. Non mi piaceva uniformarmi agli altri, alle amiche e compagne tutte prese a seguire le regole e gli stili del momento. Loro mettevano i pantaloni a zampa e io quelli da uomo larghi. Andavano di moda gli occhiali grandi e allora io cercavo solo quelli piccoli. Ecco. Sì. Probabilmente iniziai allora a mettere in soggezione chi mi stava attorno».

Come si fa ad incutere soggezione e al tempo stesso piangere davanti a tutti come ti è accaduto spesso?

«Basta non aver paura di essere visti come si è veramente. E io non ho mai avuto questo timore. Sono sempre stata una persona che divide molto. Crescendo, ho cercato però di smussare gli angoli, anche se il carattere è rimasto quello. Proprio per questo non sono una persona che fino a qualche anno fa era amata dal 90 per cento degli italiani. Perché ho sempre detto quel che credevo fosse giusto per me. Un modo di fare, il mio, che magari molte volte è stato visto come politicamente scorretto».

Però adesso sei più amata, è cambiato il modo in cui la gente ti percepisce...

«Ma non sono cambiata io».

In che senso?

«Sono stati gli altri ad iniziare ad apprezzarmi. Forse perché prima ciò che dicevo veniva preso come l’opinione di un’atleta che agli occhi dei più veniva vista come una meteora, che poteva esserci oggi e sparire domani, una meteora forte, che vinceva, che sparava certe frasi, ma che in fondo pensavano si fosse solo montata la testa e al primo momento storto, sicuro, sarebbe sparita. I momenti down in effetti sono arrivati, ne ho vissuti diversi. Però non sono sparita. Eccomi qui. E allora, forse, proprio adesso che sono alla fine della mia corsa, il pubblico ha compreso il mio modo di essere in tutti questi anni, ha capito chi sono veramente. Credo, in questo, mi abbia anche aiutato Italia’s Got Talent. Nello sport mi vedevano incazzata o felice. In tv hanno scoperto Federica persona normale».

Quante versioni di te: timida, tenera, insicura, introversa, scontrosa, aggressiva, forte, decisa, affascinante, carismatica...

«Sono un po’ tutte queste cose. Diciamo che adesso la percezione è soprattutto positiva. Credo di essere vista come una grande atleta che ha fatto tanto, una donna forte che in passato ha avuto problemi che poi è riuscita a superare».

Fine corsa, hai detto. Le olimpiadi di Tokyo e poi davvero basta più?

«Sì, sì. E mi fa sorridere che la decisione di smettere venga sempre vissuta come uno scoop, come se non potesse essere vera. Se fosse per me, per l’amore che provo per il nuoto, andrei avanti altri venti anni. Però, visto che nel nuotare metto sempre il massimo, credo onestamente che dopo i 32 anni non sarò più pronta, di testa e di corpo, a dare quel che ho fin qui dato».

Si dice: cosa farà Fede dopo il ritiro? Ma cosa faremo noi dopo il tuo ritiro?

«Come farete senza il gossip su di me, eh...?»

Anche. A proposito: stasera facciamo gli originali: niente domande su morosi passati e futuri. Chissenefrega. Cosa farai, tanta tv?

Ride. «Non è detto. A parte l’impegno per la candidatura al Cio, che sarà una battaglia e nulla di certo, non ho in calendario altro. Francamente, ho anche una sicurezza economica che mi permette di non dover trovare subito qualcosa da fare. Anzi, grazie a quanto guadagnato in questi anni potrei decidere di fare solo la mamma. Non credo sia nella mia indole chiudermi in casa e pensare unicamente ai figli, ma siccome è qualcosa che non ho mai provato, chissà, magari finirà proprio così...»

Federica mamma.

«Certo, per me è un obiettivo. Non in senso sportivo. Non da raggiungere come fosse un primato; cioè, non è che adesso, dopo il ritiro, vado a cercare il primo che passa pur di avere un figlio. Deve essere una persona con cui costruire qualcosa di solido, voglio metter su una famiglia».

Tipo?

«Tipo la mia di origine, il mio babbo, Roberto, la mia mamma, Cinzia, mio fratello Alessandro. Per cui un’aspettativa di famiglia molto alta».

E l’aspettativa di figlio?

«Femmina. La prima mi piacerebbe femmina. Mia madre lo dice sempre: “Meglio iniziare dalla femmina”».

Cosa intendi per aspettativa molto alta di famiglia.

«Che sia un porto sicuro così come lo è da sempre la mia. Una famiglia dove approdare e rifugiarsi per gioire se c’è da festeggiare, dove piangere quando tutto va male. Una famiglia presente come sostegno, non necessariamente come presenza. Una famiglia che dal modo in cui rispondo “pronto” al telefono capisca esattamente come stanno andando le cose. Una famiglia non da Mulino Bianco, una famiglia però vera. Mia madre romantica ma con un carattere molto forte. Se ho preso a cuore i problemi delle donne, nella vita, nello sport, nel lavoro, è grazie a lei. Lei mi ha insegnato l’emancipazione. Donna elegante, tutta di un pezzo, sempre al suo posto però con le proprie idee, mai uno scalino sotto il mio babbo. Già, il babbo. Uomo d’altri tempi lui, di quegli uomini che purtroppo non esistono più, uomo di una generazione che si sta perdendo, uomo con i piedi piantati a terra pur essendo un ex paracadutista della Folgore, uomo per il quale il rispetto per la donna, la famiglia, il matrimonio vengono prima di tutto. E mio fratello? Un romantico. Ricordo dopo i Giochi di Rio, eravamo in vacanza tutti insieme e come sempre noi dormivamo in cameretta; all’improvviso mi sveglio spaventata, non ricordo l’incubo, ma ero scossa, terrorizzata. E lui, dall’altro letto, si tira su e calmo mi dice: “Ecco, prendi questo...”. Poi si alza e mi porta il rosario che teneva sotto il cuscino. “E ora dormi bene Fede”. Adesso quel rosario ce l’ho tatuato. È sempre con me».

Hai un incubo ricorrente?

«L’avevo. Arrivava nei momenti di grande pressione, io chiusa in una stanza, senza porte, l’acqua che sale, nessuna possibilità di salvarmi».

Dalla Fenice al rosario, entrambi li hai tatuati.

«2006 e 2019. È cambiato veramente il mio mondo fra questi due simboli sul corpo; c’è la vita, ci sono tredici anni di alti e bassi».

Hai detto dei tuoi cari. E tu come sei veramente, a parte voler essere diversa dagli altri?

«Molto razionale. Però, se mi innamoro, allora posso anche smettere di vedere le cose per come sono veramente e lasciarmi andare».

Testarda?

«Sì».

Fin da piccola?

«Sì, da sempre. È che vivo male le ingiustizie, e allora mi impunto. Mi succede perché ogni volta penso che dietro ci sia qualcosa di personale. Solo che a volte non è così».

E quindi?

«Quindi in questi anni ho lavorato molto su questo aspetto del mio carattere».

Da piccina volevi sempre e solo battere i maschietti, le rivali femmine neppure le consideravi.

«Mi sono sempre confrontata molto con i ragazzi. Intendo dire che non fu facile per una sedicenne che arriva, parlo della vecchia nazionale quando debuttai, e all’improvviso si ritrova ad allenarsi con gli uomini. Atleti che andavano forte, atleti che la battuta era all’ordine del giorno. Testarda e orgogliosa come sono io era inevitabile che erigessi subito uno scudo per proteggermi».

Prima hai accennato ai problemi da cui ti sei tirata fuori.

«La bulimia, gli attacchi di panico».

La bulimia, la tua esperienza può essere d’aiuto a tante ragazze... Colpa anche della pressione dei media negli anni subito successivi all’argento di Atene 2004?

«Non eravate voi il problema. Quel che scrivevate passava in secondo piano. Ero io. Non stavo bene con me stessa. Il mio corpo stava cambiando radicalmente, da longilinea avevo preso ad ingrassare, mi si gonfiava la faccia, avevo l’acne, non mi riconoscevo più in quel che vedevo allo specchio ma essendo molto osservatrice notavo lo sguardo della gente che si accorgeva di quanto fossi cambiata. In più avevo questa fame che mi portava via. Subito dopo averla soddisfatta mi sentivo in colpa. Per cui mi ero detta “io mangio, poi vomito e non assimilo”. Nella follia di tutto ciò, a me pareva estremamente razionale e logico agire così. Però mi stavo facendo del male».

E allenatori e famiglia, nessuno se ne accorgeva?

«No, gli allenatori no. E la famiglia era lontana. Per fortuna durò poco. Se ne accorsero le mie compagne di casa, all’epoca vivevamo a Milano, mattina scuola e pomeriggio allenamenti. Chiamarono i miei genitori».

Cosa successe?

«Intervennero. Mi portarono a casa. Ricordo un giorno in spiaggia, era inverno, con mio padre... Vedi, con mia mamma mi confido fin da bambina, i cambiamenti, i morosi, le cose di donne, con babbo no, babbo è geloso, guai. Però con lui c’è sempre stata questa cosa che al contatto fisico io esplodo. C’è fra noi una tempistica naturale, lui capisce perfettamente quando è il momento, non prima e non dopo, di abbracciarmi. Sono una persona che non si lascia mai andare facilmente, però è come se solo lui sapesse quando ho bisogno del via. Lui mi abbraccia, dà il via, e io esplodo. Quella volta mi prese in braccio».

Succede anche oggi?

«Certo. Logico, non sono più una ragazzina di 16-17 anni che vive e affronta gli squilibri interni della propria età aggravati, all’epoca, dal vivere il dopo medaglia, il dopo Atene, in cui sia io che la mia famiglia eravamo in balìa di un cambiamento e di un mondo a cui non eravamo preparati. Però, sì, può succedere anche oggi. Diciamo, adesso è più normale che torni a casa, che i miei guardandomi capiscano subito che qualcosa non va e che me li ritrovi la mattina dopo al risveglio in camera mia seduti ai piedi del letto che mi domandano: “Dai, adesso dicci?”»

Gli ultimi due ori mondiali di fila nei 200 stile, Budapest 2017 e, ancora più sorprendente, quello di luglio in Corea, a 31 anni, quindici anni dopo l’argento di Atene.

«Considero quei successi due medaglie molto femmine. Proprio così. Nei miei rapporti e amicizie sono sempre stata più maschile che femminile. Eppure, da diverso tempo ormai, sento sempre più l’affetto delle donne. Soprattutto, mi sento molto molto vicina a tutte loro. Anche perché vedo nella vita e nello sport la fatica in più che facciamo, a parità di talento e abilità professionali, rispetto agli uomini».

La violenza.

«Sono convinta che certi uomini agiscano così perché si sentono spodestati dal ruolo forte nella coppia, dalla centralità che credevano di avere per diritto. Ne parlavo l’altro giorno con mia nonna, “ai miei tempi l’uomo in casa non faceva nulla” stava dicendo mentre mia madre prendeva in giro il babbo che passava male l’aspirapolvere... La verità è che gli uomini hanno difficoltà a riconoscerci un ruolo pari al loro nella vita di tutti i giorni. Pensa al calcio femminile, al mondiale dell’estate scorsa, le battute si sprecavano, “ah come giocano male, ah ma vedi questa e quella” e giù a ridere. Io mi arrabbiavo e impuntavo, “ma che dite? È uno sport giovane praticato al femminile, ci vuole tempo...” Niente. Le battute in compagnia fioccavano lo stesso».

Ci sono sport che invece vengono percepiti come paritari: fra questi il nuoto.

«È vero. E sai perché? Perché gareggiamo insieme, stessi giorni, stesse ore, stessa manifestazione. Nello sci, in altri sport non succede».

Il volley ha pari dignità uomo-donna. Palazzetti pieni.

«Perché gli sport che possono essere riconosciuti da donna vanno bene, quelli da sempre visti come maschili, se praticati da noi provocano fastidio».

Federica oggi prima di una gara?

«Anni fa, soprattutto nei periodi difficili, mi sentivo molto insicura. Ora è diverso, ora ho paura ma non della competizione, temo solo di non sentirmi come vorrei una volta in acqua, ecco, questo. Per cui sto attenta ad ogni dettaglio... Che non è precisamente quel che dovrei fare. Dovrei invece liberare la testa. In questo è però fondamentale Matteo, il mio allenatore (Giunta, ndr). È una persona estremamente ancorata a terra, pressioni e stress non lo smuovono. Matteo ha una fermezza e una forza interiore che non avevo mai visto in nessun altro. Prima della gara è come se io fossi un mare in tempesta e lui lo scoglio a cui aggrapparmi».

Siete vicini di età, ha solo 5 anni in più, prima esperienza come allenatore. Tu potevi fare un buco nell’acqua e lui bruciarsi con la campionessa...

«Mi piace rischiare. Però lo conoscevo. Era il vice e preparatore atletico quando mi allenavo con Philippe Lucas. È stata una scommessa. Io venivo dalla scuola italiana basata sul chilometraggio, sul nuotare tanto, lui dalle metodologie applicate ai velocisti, soprattutto stranieri. Ma avevo intravisto qualcosa in lui. È un allenatore intelligente, come lo era Alberto Castagnetti, che personalizza l’allenamento sull’atleta. All’inizio, ai mondiali in vasca corta di Doha, era fine 2014, non andò bene. Dovevamo trovarci a metà strada. Lui ha avuto l’intelligenza di capirmi, io la voglia di avvicinarmi. Il ponte però lo costruì Bruna Rossi, la mia psicologa poi diventata anche la sua».

E sono arrivati due ori mondiali. Ha rischiato più lui con te, o tu con lui?

«Ho rischiato più io. Matteo avrebbe potuto bruciarsi, però alla fine sarebbe stato il giovane allenatore che non è riuscito ad allenare la campionessa. Io ero già Federica Pellegrini».

Ecco: questa cosa di dire quel che pensi senza filtri, “io sono...”. Lo facevi anche da ragazzina. È il motivo per cui non piacevi a tutti...

«Indipendentemente da come posso essere vista dal pubblico, io so che cosa ho fatto, chi sono, lo so bene, e quindi lo dico senza sbruffonerie. Poi, al di fuori, gli altri pensino come vogliono».

Dopo l’oro in Corea non ti sei detta, ok, sono in vetta, lascio da regina?

«No, la mia parte razionale mi dice che il quadriennio olimpico si chiude a Tokyo. Ovvio, la parte sognatrice spera di far bene anche lì, ma l’oro di Gwangju mi ha già dato sicurezze. Diciamo che l’olimpiade rappresenta solo qualcosa in più, magari una parata, magari un saluto a tutti».

E se invece un altro sogno si avverasse? Cambieresti idea?

«No. Dovrebbe proprio accadere qualcosa che mi stravolga la vita, nel senso che dovrei trovarmi in una fase personale di donna che non sa fare nient’altro che nuotare.

Dovrei dunque essere una donna talmente insicura di tutto ciò che l’aspetta fuori da buttarmi di nuovo nell’unica cosa che mi dà sicurezza. Per cui no. Per non ritirarmi dovrebbe accadere qualcosa di straordinario. E di negativo».

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