Fantascientifico, saracinesca, top Gigio. Tre definizioni sparse sulle pagelle del giorno dopo. Sono passati molti mesi dai primi fischi insolenti di San Siro, dall'errore con la Germania e dallo sfondone con il Real Madrid che costò l'eliminazione in Champions, ma Gigio è tornato Donnarumma in azzurro. Con la complicità di una striscia di prodigiose parate che gli hanno attribuito una bella serie di 8 e il riconoscimento pubblico e solenne del protagonista decisivo del successo in Ungheria. A spiegare, in modo semplice ma efficace, il recupero prodigioso di quel talento partito da Milanello per Parigi e smarritosi, è stato Roberto Mancini, uno che s'intende anche di raffinata psicologia oltre che di calcio. «Gli ha giovato la fine della concorrenza e il fatto di giocare con continuità nel suo club» la diagnosi chirurgica del ct che non ha mai avuto la tentazione di cambiare cavallo, anzi portiere. A Coverciano, nei giorni recenti dell'ultimo raduno, hanno tutti rivisto il Donnarumma di una volta: un ragazzo finalmente sereno, soddisfatto, sicuro. Nel trasferimento dal Milan a Parigi, impostato fuori tempo massimo da Mino Raiola perché era venuta meno la promessa di Paratici e della Juve nel frattempo passata da Pirlo ad Allegri, Gigio si ritrovò per la prima volta, alla sua giovanissima età, alle prese con una condizione di forte disagio tecnico e psicologico, mai provata prima.
Nel Psg non aveva il posto da titolarissimo e doveva perciò fare i conti con Navas, colombiano, tre Champions in bacheca, gradito al clan dei sudamericani che in quello spogliatoio, con un allenatore e un ds debolissimi, contavano più di tutti. Una partita sì e due no rappresentò la prima difficoltà accentuata poi da qualche errore tecnico, specie con i piedi, che è stato da sempre il suo tallone d'Achille. A Budapest si è riaccesa la lampada del genio, la reattività nelle parate una dopo l'altra si è messa in moto e alla fine persino una sbavatura nelle uscite è passata sotto silenzio dinanzi a quelle prodezze.
«Come ho fatto? Lavoro e madre natura» la personale spiegazione che può ricondurre poi all'abc della professione e a sottolineare una teoria molto famosa firmata un tempo da Kakà, «il talento, da solo, non basta».
Ci vuole dell'altro. Lavoro e forse anche un pizzico di umiltà nel riconoscere gli errori commessi. A Gigio non riuscì dinanzi alla domanda legittima della collega bordocampista della Rai.Forse, in Ungheria, ha capito anche questo.
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