Un pezzo per celebrare i 50 anni di Alberto Tomba, cercando di non cadere nella banalità di tanti, troppi bei ricordi. Ma come si fa? È proprio in occasione di certi compleanni che si tende a rivivere il passato e i 50 anni, chissà perché, sono il classico traguardo in cui uno preferisce guardare indietro piuttosto che avanti, anche se la cosa migliore, sempre, sarebbe vivere e godere il presente per come è. Com'è il tuo presente Alberto?
Mi capita spesso di dover rispondere a questa domanda, me la rivolgono persone che ti hanno amato, non si sono dimenticate di te e hanno la curiosità di sapere dove sei e cosa fai ora, lontano dalla ribalta. A me piacerebbe poter rispondere che sei un uomo felice con una nuova vita, una bella famiglia e tanti bambini ma invece no, non è così e dispiace, perché ti avrei visto davvero bene come papà, simpatico, energico e positivo. Ma no, hai fatto altre scelte, sei rimasto forse un po' troppo legato al tuo personaggio e al tuo passato, hai soprattutto avuto paura di fare il passo verso una vita diversa, in cui Alberto Tomba non era il fenomeno dello sci ma un uomo normale, con interessi, passioni e desideri di condividere con altri e soprattutto altre.
Forse questo è quel che succede a chi è stato davvero troppo grande. A chi, arrivando da Bologna e faticando non poco per farsi accogliere nel mondo chiuso delle montagne, è diventato il messia capace di portare lo sci nelle case di tutti gli italiani, capace di muovere folle incredibili, capace di fermare il Festival di Sanremo durante l'Olimpiade di Calgary, per un collegamento in diretta con una vittoria annunciata. E allora, tornando proprio a quel lontanissimo 1988, non posso non ripensare a quell'intervista esclusiva che mi concedesti nella villa di Castel dé Britti, proprio alla vigilia della partenza per il Canada. Davanti ai miei occhi divertiti apristi le valigie con la fornitura del Coni e infilasti la giacca ufficiale: ti stava decisamente stretta! «Come farò sul podio? Non posso nemmeno alzare le braccia!» urlasti a tua mamma con aria indignata. Già, perché tu ti ci vedevi già su quel podio, non avevi dubbi sulle tue qualità, volevi vincere e sapevi che lo avresti fatto. Com'è stato bello quel primo anno, io giornalista alle prime armi, e alla prima di otto Olimpiadi da cronista dopo le due fatte da atleta, tu ragazzino dai riccioli bruni che faceva impazzire il mondo con le sue battute, le sue guasconate, ma soprattutto con le sue vittorie in serie. Eri felice, eri disponibile, aperto ad ogni esperienza: tutti ti osannavano e tu stavi al gioco, godendo, ingenuo e ignaro di come le cose sarebbero cambiate il giorno in cui le vittorie non sarebbero state più così frequenti, facili e divertenti, in cui la gelosia e l'invidia avrebbero avuto il sopravvento sull'ammirazione.
Di quell'inverno ricordo anche la gara di Saas Fee, io e te in seggiovia mezz'ora prima del via, ti eri alzato tardi e non avevi fatto in tempo ad arrivare in partenza per la ricognizione. Problemi? Zero, ti eri studiato il tracciato, almeno quello visibile sotto di noi, dall'alto. «Ma questo è matto, come fa a partire senza aver visto la pista, io al suo posto sarei paralizzata dall'ansia e non farei nemmeno una curva!» pensavo Tu invece te la ridevi e anche quel giorno vincesti, lasciando tutti a bocca aperta, perché battere gli avversari ti piaceva, ma irriderli ti dava altrettanta gioia. Poi qualcosa si è rotto. Hai vinto ancora tanto, tantissimo, fra medaglie e coppe e gare fino a quell'ultima del marzo 1998 che ha messo fine alla tua carriera. Ma nulla è più stato come quel primo inverno in cui tutto veniva facile e potevi essere davvero tu, il ragazzo che amava sciare e vincere, che aveva una marcia più degli altri e spiccava per la sua diversità in un mondo dove i vincenti per eccellenza fino a quel momento erano stati Gustav Thoeni e Ingemar Stenmark, fantastici con gli sci ai piedi, ma muti come pesci non appena li toglievano.
Ancora oggi siamo in tanti a rimpiangere quegli anni, lo sci in prima pagina sempre e comunque, lo sci di attualità anche in piena estate, anche se lo sci in realtà era Tomba e solo Tomba, con l'abbinamento di Deborah Compagnoni dal 1992 in poi. Col senno di poi va detto che la tua esuberanza e la tua bravura oscurarono forse troppo il resto del movimento, con ricadute negative non appena tu appendesti, da vincente, gli sci da gara al chiodo. Solo oggi, a quasi vent'anni dal tuo ritiro, si comincia a non identificare più lo sci italiano con Alberto Tomba, anche se sono certa che il tuo nome verrà per sempre richiamato alla memoria non appena ci sarà un risultato degno dei tuoi.
La speranza è che ce ne siano tanti di sciatori azzurri capaci di vincere ori olimpici o addirittura coppe del mondo assolute (la tua del 1995 rimane l'ultima per l'Italia), ma così come è difficile fare confronti fra ere diverse dello sport, è inutile paragonare campioni diversi fra loro per storia, epoca, carattere e risultati. L'unica cosa sicura, in ogni caso, è che come te, caro Alberto, non ci sarà nessuno, mai più. Tanti auguri!
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