Prima del Milan degli invincibili, prima del Real Madrid dei galacticos e prima ancora del City e del Psg dei petrodollari. Cinquant'anni fa, era l'estate del 1970, nascevano i Cosmos di New York, un progetto sportivo unico al mondo e per certi versi antesignano. Apparvero sulla scena, con la benedizione di Henry Kissinger (grande appassionato di pallone) e la velleità di diventare il riferimento universale del calcio in una nazione che fino a quel momento non aveva mai avuto attrazione per la sfera di cuoio. È una questione culturale: negli Usa non viene catalogata come sport qualsiasi disciplina che non preveda l'utilizzo delle mani. Per non parlare di un'altra, a loro modo di vedere, eresia: il pareggio. All'epoca il soccer non veniva insegnato nei college e i milioni di appassionati (soprattutto italiani, irlandesi e ispanici) potevano al massimo saziare la loro passione con qualche scampolo di gara dei campionati europei trasmessi in differita.
La Time Warner Comunication, ancora oggi colosso di cinema, musica e videogiochi, decise di investire nel calcio per raccogliere più appassionati possibili. Ed è così che nacquero i Cosmos, seguiti a ruota da altri club che andarono a costituire la North American Soccer League. New York per prima decise di puntare su calciatori affermati, alcuni di loro indirizzati verso la pensione. Era necessario pubblicizzare nel migliore dei modi il nuovo fenomeno sportivo, affidandosi ai nomi altisonanti del calcio e viaggiare ai mille all'ora. Molti arrivarono nella Grande Mela con qualcosa di importante da raccontare (Beckenbauer e Carlos Alberto su tutti), altri sul viale del tramonto, ma ancora competitivi, come Chinaglia, che si fece accompagnare dal fido scudiero Pino Wilson, altri ancora, è il caso di Pelé, per dimostrare al mondo che la patria dello Zio Sam avrebbe potuto guardare tutti dall'alto in basso anche nel pallone.
Gli stadi si riempirono all'inverosimile, ma il movimento, alla base, non aveva un ricambio generazionale, e affidarsi a stelle affermate significava spendere cifre mostruose senza ottenere adeguati ricavi. A raccontare la storia dei Cosmos, che vinsero cinque delle 15 edizioni della Nasl, viene in soccorso Werner Roth, oggi 72enne, capitano per anni del club di New York e uno dei pochi calciatori indigeni di tutto il carrozzone. «Venivamo considerati stelle al pari di quelle del basket o del baseball, ma per ottenere tutto questo snaturammo il calcio, portandolo alla morte». Roth si riferisce ad esempio agli espedienti utilizzati dalla Nasl per ottenere più denaro possibile dagli sponsor. «In tutti gli sport Usa è previsto il time-out. Nel calcio no, ma era necessario individuare momenti morti per trasmettere gli spot. Così, prima delle partite, concordavamo con gli arbitri come simulare falli di gioco o infortuni per fermare le partite e consentire la messa in onda della pubblicità». Con il trascorrere degli anni, l'interesse andò scemando, nonostante l'arrivo di Pelé (che optò per New York dopo il mancato accordo con i libanesi dell'Al Nejmeh), del portiere tedesco Seep Maier, del laterale brasiliano Francisco Marinho e del papero d'oro Cruyff, che prima di accasarsi a Los Angeles, giocò qualche gara.
La Warner decise di correre ai ripari osannando il calcio attraverso un film che ha fatto epoca, Fuga per la Vittoria, girato da John Huston esattamente quarant'anni fa. Quasi tutti i calciatori presenti nella pellicola giocavano nella Nasl, buona parte di loro con i Cosmos. Compreso Roth, che fu ingaggiato per vestire i panni di Baumann, il capitano della Germania nazista allenata dal totem del cinema Max von Sydow. «Quella interpretazione ha in parte rovinato la mia vita - confessa - le persone mi fermavano per strada facendomi il saluto romano. Senza contare le lettere minatorie di chi mi considerava un nazista a tutti gli effetti. Per un certo periodo io e la mia famiglia abbiamo vissuto con gli agenti dell'Fbi sotto casa». Roth conserva un bellissimo ricordo di Giorgio Chinaglia, il "paisà" che mandava in visibilio milioni di emigranti. «Era attraversato da un fuoco sacro. Non esistevano gare ufficiali, amichevoli o esibizioni, lui si impegnava alla morte. Ai giornalisti diceva che erano Pelé e Beckenbauer a giocare con lui, e non viceversa». Non a caso Chinaglia in 234 gare ufficiali nel club newyorkese mise a segno qualcosa come 231 gol, record tutt'ora imbattuto.
Se Fuga per la Vittoria fu un maxi investimento per rilanciare il soccer, la Warner non avrebbe mai immaginato che i Cosmos sarebbe morti per colpa di un videogioco. Nel 1983, la Atari (del gruppo Warner), che vantava utili per 2 miliardi di dollari e che controllava l'80% del mercato mondiale dei videogiochi, decise di lanciare una nuova versione di pac-man, utilizzando ET e versando a Spielberg 20 milioni di dollari per i diritti. Il gioco venne considerato il più brutto di tutti i tempi e 5 milioni di cartucce invendute furono sepolte nel deserto di Alamogordo in New Mexico. Fu un bagno di sangue, tra il fallimento del gioco e le multe per aver interrato le copie. Ad un passo dalla bancarotta, la Warner decise di non investire più nel soccer e nel 1984 ritirò i Cosmos dalla Nasl per iscriverli al campionato di calcetto. Un anno dopo la squadra della Grande Mela chiuse per sempre i battenti, continuando a vivere attraverso cimeli e memorabilia. Sui siti di shopping una maglia originale viene venduta all'asta anche per 2mila dollari, così come i filmati di alcune celebri esibizioni, come quella del 1977 contro i Santos, l'ultima gara ufficiale di Pelé.
Non resta quindi che vivere di ricordi, snocciolando l'undici più forte e rappresentativo di tutti i tempi: Maier, Francisco Marinho, Rijsbergen, Beckenbauer, Carlos Alberto, Roth, Neeskens, Van der Elst, Cruyff, Pelé, Chinaglia. I galacticos sono esistiti davvero, ma non giocavano al Bernabeu, bensì al Giants Stadium.
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