Guerra. Tutto di fretta, poco tempo per respirare come questo resoconto ridotto all'osso. Quadrimotori Boeing B 17 Flying Fortress, Stirling, Halifax, bimotori Vickers Wellington per le ricognizioni e Spitfire per il mitragliamento al suolo, Milano sotto attacco, Arena mutilata come il resto della città. Violenti i bombardamenti, regolari, primo allarme alle 21,30, il secondo più forte alle 22,06. Centoquaranta Lancaster decollati dal Sud dell'Inghilterra sganciano 110 tonnellate di ordigni, caos, terrore, la città brucia, non viene rasa al suolo per la quantità di fumo che si solleva fino a 500 metri di altezza e impedisce ai bombardieri la visuale. Ma alle otto del mattino seguente Milano è di nuovo in movimento, aprono i negozi, circolano i tram e i treni partono carichi dalla Centrale.
Non solo questo, ma anche questo, fa decidere alla Consulta federale di giocare la fase finale del campionato di calcio '43/'44 a Milano. La capacità di risollevarsi in fretta e ripartire è letta come una speranza, e allo scopo di conciliare le esigenze organizzative con le attuali contingenze si disputa all'Arena la fase finale con un torneo all'italiana. Gli inglesi non bombardano solo la Caproni e l'Alfa Romeo, ma tirano giù i palazzi allo scopo di terrorizzare la gente affinché spinga verso l'armistizio. In questo clima si chiude un campionato difficile da definire, la guerra è ormai perduta, gli americani sono sbarcati in Sicilia, la linea gotica divide in due l'Italia e la Federcalcio si è trasferita da Roma a Milano, peraltro considerata dagli alleati la città più strategica del Paese, quindi anche la più a rischio bombardamenti.
Ma la stampa spinge per una ripresa, benedice il calcio capace di rigenerarsi sempre e per primo in una situazione di disfacimento morale e materiale, segnale di vitalità e sopravvivenza che da agli italiani la sensazione di un non lontano ritorno alla normalità. È in sostanza il campionato della Rsi con 60 squadre del Nord e 5 del Centro, serve un titolo da consegnare anche se la prima classificata non sarà campione d'Italia ma solo la vincitrice del Campionato di Guerra. Con questa denominazione passa alla storia la competizione del '43/'44.
I gironi sono composti da sole squadre al di qua della linea gotica e in seguito ai risultati delle qualificazione interzonali, alla fase finale accedono l'AC Torino, l'AC Venezia e il 42° Corpo dei Vigili del Fuoco di La Spezia.
I Pompieri? Sì loro, ma non esattamente loro.
Il campionato ufficiale è stato sospeso nel settembre del '43 ma la voglia di ripartire ha il sopravvento in un clima caotico che si riflette anche sul tesseramento dei calciatori, liberi di andare a giocare dove desiderano ma solo se arruolati in corpi militari o comunque in qualche modo operativi. Il Torino raggiunge un accordo con la Fiat, entra nel gruppo sportivo della casa automobilistica e la squadra prende il nome di Torino Fiat. A La Spezia il calcio è senza presidente, Coriolano Perioli è stato catturato e deportato in un campo di concentramento in Germania, e Giacomo Semorile, unico dirigente rimasto, decide di contattare il comando dei Vigili del Fuoco per allestire una squadra che possa partecipare al girone interzonale, stratagemma per sottrarre i suoi tesserati agli obblighi del servizio militare. La squadra prende il nome del comando dei Vigili del Fuoco, la città è in ginocchio, nel porto c'è l'arsenale della Regia Marina, bombardamenti quotidiani, lo stadio Picco un ammasso di rovine, allenamenti a Rapallo, ma vengono tesserati dal Livorno il bomber Sergio Angelini e il regista Renato Tori, il portiere Giovanni Tavoletti dal Genoa, dal Napoli il difensore Bruno Gramaglia e la punta Vinicio Viani. In panchina c'è Ottavio Barbieri, gioca un mezzo sistema che ha imparato dall'inglese William Thomas Garbutt quando assieme guidavano il Genoa campione d'Italia del '23 e '24. È un accorgimento difensivo, i due terzini cambiano i compiti, uno va sul centravanti, l'altro gli copre le spalle e diventa in sostanza il prodromo del libero.
In squadra camicie nere e fazzoletti rossi, le trasferte un'odissea fra rastrellamenti e bombardamenti, strade inesistenti o impercorribili, gli spezzini viaggiano su un'autobotte della caserma dove nascondono sacchi di sale da barattare con salumi e altri generi alimentari, rischio enorme, si finisce fucilati, ma almeno mangiano cipolle, fagioli, patate e dormono nelle caserme. Fanno un calcio semplice, ci mettono l'anima, vincono il girone che comprende Carpi, Suzzara e Modena, poi in finale battono il Bologna, tafferugli, viene ufficializzato il 2-0 a tavolino e cancellata la gara di ritorno. Durante il trasferimento a Milano per la finale si guasta l'autobotte su cui viaggiano, proseguono su un carro scoperto quando vengono sorpresi da un furibondo nubifragio, si fermano per asciugare le maglie, accendono il fuoco e le mandano arrosto. Quando si presentano davanti a un'Arena semideserta nel timore di rastrellamenti, con delle maglie bianche a girocollo piene zeppe di buchi, vengono scambiati per dei barboni.
È un caldissimo pomeriggio di luglio, sole a picco, l'ordine è sospendere la partita in caso di bombardamento, non lasciare l'Arena e rifugiarsi in un vano sotterraneo in attesa che l'allarme cessi, quindi riprendere la partita. Ma nonostante i rinforzi, il 42° Corpo dei Vigili del Fuoco è davanti a una impresa, il Torino ha lo scudetto cucito sulle maglie di Valentino Mazzola, Ezio Loik, Franco Ossola, Guglielmo Gabetto, ha vinto anche la coppa Italia battendo in finale proprio il Venezia che il 9 luglio del '44 si presenta all'Arena per affrontare i Vigili del Fuoco. Finisce 1-1. La seconda, il 16 luglio, è contro il Torino rinforzato da Silvio Piola con Vittorio Pozzo in panchina. Un Torino stremato, occorre precisarlo, la squadra è stata obbligata a disputare una inutile amichevole contro una rappresentativa giuliana, sette giorni di viaggio fra andata e ritorno e uno solo di riposo prima di partire per Milano dove, oltretutto, si gioca alle 15 pomeridiane anticipata di due ore per il timore di bombardamenti. Ma la squadra è considerata comunque la strafavorita e il ct dell'Italia due volte mondiale, in un eccesso di cortesia, fa visita allo spogliatoio dei pompieri, si complimenta con loro per aver raggiunto la finale e garantisce che la sua squadra non infierirà. Una promessa che suona come una carica, i pompieri si sentono derisi e gettano sul campo una volontà straordinaria, segna Sergio Angelini, pareggia Silvio Piola, traversa di Valentino Mazzola poi ancora Angelini sigla il definitivo 2-1. Nella terza partita vince il Torino 5-2, classifica finale: Pompieri 3 punti, Torino 2, Venezia 1.
Gli spezzini apprendono di aver vinto il torneo mentre sono in fuga da Milano inseguiti dai tedeschi che vogliono perquisire il loro carico, hanno il solo desiderio di salvare la pelle, i festeggiamenti un'altra volta.
E poi quali? È un titolo che sugli almanacchi non ha residenza, quel campionato non viene riconosciuto dalla Figc, considerato solo propagandistico. Tutto cancellato, l'impresa del bomber Sergio Angelini non risulta, il suo nome e quello dei suoi compagni non compare neppure in Dizionari del Calcio Italiano di ottima pubblicazione.
Un comunicato ufficiale dell'8 agosto 1944 alla vigilia della nuova stagione, conferma il Torino campione in carica per aver vinto il campionato 1942-'43, mentre ai Vigili del Fuoco del 42° corpo di La Spezia viene assegnato il solo titolo di vincitore del Campionato di Guerra. Uno scudetto che non vale per la Federazione ma che non ha prezzo e certifica che anche la tragedia più immane non ferma il calcio, poco meno di ottant'anni fa, tutto di fretta, oggi.
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