Ibra e Sheva, Sacchi e Capello: tutti i cavalli di ritorno del Milan

Il Milan si gioca la carta dello Zlatan-bis per invertire la rotta. Ma i cavalli (rossoneri) di ritorno hanno spesso portato male al Diavolo. Arrigo Sacchi, nella stagione 1996/1997, non andò oltre l'11° posto. Male anche Capello, Gullit e Sheva

Ibra e Sheva, Sacchi e Capello: tutti i cavalli di ritorno del Milan

Giovedì è iniziata ufficialmente la nuova avventura in rossonero di Zlatan Ibrahimovic. "Nuova" intesa come seconda. Infatti, lo svedese è per il Milan un cavallo di ritorno, pronto a nitrire e cavalcare con furia equina i prati di Milanello e San Siro. L'ora X è scattata alle 11.35, quando l'ex attaccante dei Los Angeles Galaxy è atterrato a Linate con il suo aereo privato. Ad accoglierlo, insieme al Cfo rossonero Zvonimir Boban, alcune decine di tifosi che gli hanno riservato cori e applausi. Un'accoglienza da re.

56 gol in 85 presenze con il Diavolo parlano per lo svedese. L'entusiasmo dei tifosi rossoneri è palpabile, e comprensibile. La situazione è disperata, la squadra allenata da Stefano Pioli viaggia a un ritmo da metà classifica e il cinqueazero di Bergamo ha fatto credere ai sostenitori milanisti che solo un miracolo possa salvare una stagione nata male, con Marco Giampaolo, e proseguita (forse) peggio.

Zlatan, però, ha 38 anni. Sette in più dei 31 sulla sua carta d'identità al momento del suo passaggio al Psg, nel 2012. I pro e i contro del suo ritorno in rossonero li abbiamo già sviscerati. Ma il problema, per il Milan, potrebbe essere un altro. Ovvero il fatto che si tratti di un ritorno. Dato che i cavalli di ritorno, al Diavolo, arrivano spesso sferrati.

Da Sacchi e Capello...

È successo a diversi mostri sacri della storia rossonera. A cominciare da Arrigo Sacchi. Nella sua prima esperienza al Diavolo, tra il 1987 e il 1991, il vate di Fusignano vinse tutto ciò che si poteva vincere. Trasformando un club reduce da due retrocessioni in Serie B in una squadra di immortali. Poi, nel dicembre 1996, la seconda chiamata di Berlusconi e Galliani. Seguita da sei mesi infernali, conclusi con uno squallido 11° posto in campionato e l'eliminazione in Champions League ad opera dei norvegesi del Rosenborg, probabilmente il punto più basso dell'esperienza in rossonero del tecnico romagnolo. A Fabio Capello andò quasi peggio. Richiamato dal Milan nella stagione 1997/1998 dopo i bagordi del quinquennio 1991-1996, l'eroe di Wembley 1973 rimediò a fine anno un triste 10° posto. Arrivò sì in finale di Coppa Italia, ma la perse contro il Parma. E si congedò per sempre.

... a Gullit e Shevchenko

Se gli allenatori-bis del Diavolo piangono, i giocatori-bis hanno poco da ridere. Ruud Gullit, simbolo del Milan degli olandesi ricordato come una delle squadre più forti e spettacolari della storia del calcio, dopo il passaggio alla Sampdoria (1993) decise di tornare in rossonero appena un anno dopo. Ma non era lo stesso Milan di Sacchi. E a Gullit, del Gullit ammirato nella sua prima avventura al Milan, rimanevano solo le treccine. Mentre i più giovani ricorderanno l'analogo destino di Andriy Shevchenko. 127 reti in 208 presenze in rossonero, poi, nel 2006, la cessione al Chelsea. Da cui tornò nel 2008 con la formula del prestito.

Ma il centravanti ucraino, cresciuto alla truce scuola del colonnello Lobanovski, non aveva più lo scatto né la ferocia di un tempo. E concluse la stagione con 0 gol in 18 partite di campionato, score giusto ritoccato da qualche rete in Europa League e Coppa Italia.

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