Il suo numero 8 che si sdraia e diventa il simbolo dell'infinito. Ok, c'è un po' di retorica nell'addio al Barcellona di Andres Iniesta dopo 22 anni ma nessuno ne farà un dramma. Perché in un calcio fatto di mezze tacche, di giocatorini che si sentono arrivati dopo due partite e non vedono l'ora di apparire sulla copertina di una rivista patinata, di giocatori come lui ce ne sono pochi. La classe che solo i grandi hanno, unita alla testa pensante da uomo vero. A 34 anni andrà in Cina, «perché è il momento, non posso più dare tutto» ha detto in lacrime davanti giornalisti, compagni e staff.
Alzi la mano chi ha mai visto un gesto fuori posto, uno scandalo di qualsiasi tipo legato a Iniesta. Lui che dopo il gol decisivo nella finale dei Mondiali del 2010 con la sua Spagna ha sfoggiato una maglia per ricordare Dani Jarque, scomparso l'anno prima. Piccolo particolare: Jarque era il leader dell'Espanyol, l'altra squadra di Barcellona. Nella sua carriera ha vinto tanto, tantissimo. Col Barça e con la Nazionale. Gli sono stati attribuiti tanti soprannomi: illusionista, cervello, cavaliere pallido, antigalactico, per le sue caratteristiche fisiche e tecniche. Ma in pochi sanno che dopo il Mondiale ha lottato e vinto contro la depressione. Che con la sua azienda che produce vino ha salvato dal fallimento l'Albacete, squadra dove ha mosso i primi passi. Del resto non è mai stato un calciatore come gli altri, in campo e fuori. Come quando rispose così a chi lo definì eroe. «Non hanno capito niente.
Eroe è chi emigra coi figli in un altro paese per cercare fortuna o chi cura le persone salvando la loro vita. Io sono solo un maledetto calciatore». Uno dei più bravi, di sempre. E tanto basta per renderlo davvero infinito. Almeno un po'.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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