"Jamaican power": Fraser regina dei 100, Bolt re da scommessa

Mondiali atletica, è super la campionessa di Pechino e Londra. Sprinter pulita dopo il caso Powell. Un milione a Usain se prova il lungo

"Jamaican power": Fraser regina dei 100, Bolt re da scommessa

Bolt ha scoperto che i russi non sono allegroni. C'è arrivato un po' tardi. E lo ha raccontato con una discreta dose di ingenuità. «Quando andavo nell'area di riscaldamento nessuno rideva, tutti troppo seri. Di solito tutti ridono, parlano, ma penso che la gente in Russia sia un po' più seria. Non so perché sono seri, ma non sorridevano veramente, non parlavano molto». Se gli capita lo chieda a Putin. Ma al di là della freddezza russa, tutto il mondo si tien stretto l'unico personaggio attraente e spettacolare dell'universo sportivo- atletico. Usain e la compagnia del Jamaican power tengono banco e offrono emozioni. Veloci ed esaltanti. Che poi qualcuno sia slittato sul doping è altra storia. Il talento e il continuo alimentarsi di talenti è indiscutibile.

Due conti: in sette anni i giamaicani hanno portato a casa 40 medaglie nella velocità tra mondiali e olimpiadi. La quarantesima, guarda caso un oro, è arrivata ieri da Shelly Annn Fraser Pryce, signora dello sprint della (ex?) isola felice, vestita di un rosa confettino sfizioso, che oggi tiene nel pedigree gli ori di Pechino e Londra oltre a questo. Nessuna come lei, contemporaneamente campionessa mondiale e olimpica, come già le capitò con l'accoppiata Pechino-Berlino 2009. Fa raccolta di successi e record e ieri ha dimostrato la sua grandezza pur nella stazza da topolino. Ha giocato in semifinale, spegnendo il motore negli ultimi 20 metri. É filata via nella finale dei 100 e... statemi dietro se ci riuscite. Impossibile visto il tempo (10”71). Ha tenuto lontano l'ivoriana Murielle Ahoure (10”93), e la campionessa uscente l'americana Carmelita Jeter (10”94). Poi la nouvelle vague americana English Gardner, la giamaicana Stewart, la superwoman nigeriana Okagbare e altre due americane. La Fraser è sbucata dai blocchi facendosi rincorrere e lasciando nella polvere quella brutta scia di recenti ricordi vissuti in Italia quando la polizia ha rivoltato la camere sua e quella dei suoi compagni: Asafa Powell e Sherone Simpson se ne tornarono a casa, infamati dal puzzo di doping. Stephen Francis, uno dei due potenti manager di Giamaica, ha cacciato i traditori. Bolt ha cercato di convincere gli scettici, la Fraser ha dimostrato che si può vincere senza essere Bolt ed essendo puliti (fino a prova contraria).

Meglio che così sia per il mondo dell'atletica, agli altri basta un nulla per liquefarsi. Lo dimostra la caduta di Laviellenie nell'asta, battuto sul filo dei 5,89 dal tedesco Holzdeppe e l'autogol di Amantle Montsho, la campionessa dello Botswana, nei 400 donne, un po' svagata tanto da farsi infilare dall'inglese Christine Ohuruogu come una novellina sull'ultimo mezzo metro dopo aver condotto gara di testa. Grandi gare, piccoli personaggi. Il Jamaican power è una forza di questo mondo, e forse non è un caso che tutto abbia preso corpo da quando è spuntato Bolt, ovvero dai mondiali di Osaka 2007 che poi sono stati seguiti dai fuochi d'artificio di Pechino. L'altra sera Bolt ha dimostrato di essere sempre il più forte, ma nei 100 un po' meno devastante. Però indispensabile a questo mondo. Ora Usain ha la possibilità di raggiungere due monumenti nel libro degli uomini d'oro dei mondiali: Michael Johnson (8 medaglie d'oro) e Carl Lewis (8 ori, 1 argento e 1 bronzo).

Michelone Johnson correva soltanto, Lewis è stato un asso anche nel salto in lungo. Ed allora un grande re del passato, guarda caso un russo un po' più chiacchierone degli altri, ieri gli ha lanciato la proposta che vale il bingo. Igor Ter Ovanesian è stato primatista del mondo del salto in lungo, bronzo alle Olimpiadi di Roma e Tokyo, una vecchia conoscenza del pubblico italiano. Convinto che una «belva con l'istinto di Bolt» possa arrivare nella specialità ad un balzo di 9 metri sgretolando in pochi mesi un record (8,95 metri) che resiste da 22 anni.

Lo ha raccontato dalle colonne del giornale sportivo “Sovietski sport” e ha aggiunto una scommessa pesante: un milione di dollari per l'impresa, proponendo di fargli da coach (lui si terrà un terzo della somma). Come vedete gli affari sono affari. Soprattutto con Bolt.

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